Per riconoscere il seme di bellezza che è racchiuso nel lavoro dobbiamo, come prima cosa, allargarne di molto la visione, cercando di liberarci dai molti condizionamenti ad esso collegati e cercando di risalire al significato profondo che il lavoro ha nella vita umana.
La parola “lavoro” suscita di primo acchito delle impressioni che sono legate all’esperienza che in genere ne abbiamo fatto e al concetto che ne abbiamo formato nella nostra mente fin da piccoli: i grandi devono lavorare, questo è un obbligo, se non si lavora non si mangia, a una certa età bisogna pensare a entrare nel mondo del lavoro e prepararcisi, il lavoro lo si può anche perdere e allora sono guai…Molte, molte forme pensiero che sono tutte caratterizzate da un senso di obbligo, di limitazione e perfino di perdita, a partire da quella dell’età della spensieratezza per l’età del dovere. Restando entro i confini di questo tipo di visione, non c’è molto da dire sul lavoro, se non augurarsi di essere fortunati, di trovare un lavoro e che esso non sia troppo pesante.
Per riconoscere il seme di bellezza che è racchiuso nel lavoro, dobbiamo dunque, come prima cosa, allargarne di molto la visione, cercando di liberarci dai molti condizionamenti ad esso collegati e cercando di risalire al significato profondo che il lavoro ha nella vita umana. In realtà tutti gli esseri viventi lavorano, e non solo l’uomo, semplicemente perché per tenersi in vita c’è sempre qualcosa da fare: ciò vale per le piante, per gli animali e perfino per le creature del regno minerale. Possiamo allora dire che incarnarsi, cioè manifestarsi su questo Pianeta, comporta di lavorare. Dunque, il lavoro è ciò che serve all’anima per manifestarsi.
Ovviamente, tra gli esseri ci sono molti livelli diversi di consapevolezza della propria manifestazione e l’uomo è l’essere che è dotato del più ampio grado di libertà sul come manifestarsi. Questo della libertà è un primo valore del lavoro: esso è libero e lo deve essere sempre, indipendentemente dalle circostanze. La nostra anima può scegliere liberamente la propria manifestazione ed è solo il suo strumento, la personalità, che avverte il senso dell’obbligo. Se, attraversando i meandri della materia e delle sue necessità, abbiamo perso il contatto con il senso della nostra libertà, questo va ristabilito coscientemente: non potrà mai esprimere bellezza un lavoro svolto con un atteggiamento interno di schiavitù.
Un altro valore fondamentale è la gratuità, qualità che va interpretata nel suo senso più ampio, e non in quello più ristretto di remunerazione in denaro. La gratuità consiste nel fare qualcosa che abbia come scopo principale quello di dare espressione alla propria essenza, di utilizzare la materia che si ha a disposizione – che sia fisica, relazionale o mentale- come oggetto da plasmare attraverso le qualità e le competenze che fanno parte di quell’essere che siamo. Se questo potere- perché di un vero potere si tratta- è realizzato, il fatto che il lavoro sia seguito da un pagamento diventa secondario, sebbene possa essere importante per poter provvedere al proprio sostentamento. Ma il rapporto col denaro non dovrebbe mai diventare il fattore principale della motivazione al lavoro, perché, se ciò accadesse, si creerebbe una barriera artificiosa nel rapporto tra la persona e il suo lavoro, così separando l’anima dal corpo.
La distinzione tra lavoro su base personale, remunerato, e servizio, non remunerato, che ha prevalso per tanto tempo nei gruppi orientati al Bene comune di ogni tipo e livello, basa proprio sula difficoltà di collocare l’atteggiamento di gratuità al suo giusto posto e nel giusto significato nella scala di valori del lavoro. E’ stato perciò più semplice adottare il criterio di pagato- non pagato per definire il confine tra lavoro personale e servizio. Visto nella prospettiva della coscienza che serve e del suo grado di maturità, tale distinzione, materialistica e manichea, sfuma in quella, più vera e adatta all’era dell’Acquario, basata unicamente sull’intento e sul movente: cioè, che il lavoro sia pagato o meno, se è svolto in nome del bene comune come suo movente principale, esso rientra nel campo del servizio. In quest’ottica tale distinzione potrà essere fatta solo dalla coscienza che lavora e serve, e non in base a dati oggettivi esterni.
Arriviamo alla creatività, attributo ambito e auspicato da ogni coscienza matura. E anche su questo punto, dobbiamo prima metterci d’accordo su cosa intendiamo con questa parola, tanto usata e spesso anche abusata. Soprattutto emerge una domanda: cosa è creativo? Lo è ciò che si presenta con una forma esterna originale e attraente o lo è tutto ciò che deriva da un atto di creazione e che, a sua volta, ha il potere di creare, anche ove fosse invisibile all’occhio esterno? Qui optiamo per la seconda ipotesi: cioè, è creativo tutto ciò che mette in moto condizioni nuove, fossero anche talenti e potenzialità prima inespressi nella coscienza e che trovano finalmente espressione. Perciò la gamma della creatività si amplia a dismisura, suggerendoci che possiamo essere creativi anche solo utilizzando bene il nostro pensiero. Fa capolino, a questo punto, un dubbio antico: è creativo solo l’artista o lo è anche l’artigiano? L’artista esprime in modo estemporaneo e unico un momento di intuizione; l’artigiano ripete dei gesti appresi e costruisce oggetti conosciuti. Ma nel farlo, nella misura in cui si dedica al suo lavoro, egli collega l’idea con le mani, mettendo così in contatto chakra diversi. L’idea, anzi, scorre, sospinta dai neuroni, lungo i muscoli fino a causare i movimenti più attenti e precisi: se l’oggetto creato fosse banale in sè, quella persona ha comunque creato nel suo corpo energetico delle connessioni che prima non esistevano. Perciò anche il lavoro dell’artigiano merita l’attributo di creativo.
L’uomo è un essere multidimensionale ed è bene che il lavoro attraversi e porti luce in tutti i suoi corpi, piani e livelli. In fondo nasciamo per lavorare, cioè per portare sulla Terra la nostra manifestazione più bella. L’impegno a portare luce nella materia attraverso il lavoro è compito di ogni coscienza, e ognuno è libero di farlo nelle forme più varie, attingendo all’incredibile tavolozza di colori che l’universo mette a disposizione.
Marina Bernardi