Alcuni giorni fa una parola si è presentata alla mia attenzione, chiedendomi di essere meglio compresa: traccia.
La prima associazione mentale è stata con un libro che avevo frequentato parecchio nella mia adolescenza, il cui titolo era proprio “Tracce”: una specie di manuale scout, che stimolava ad osservare l’ambiente e a ricavarne indicazioni utili. A pensarci oggi, forse quel libro è stato il primo spunto di consapevolezza sul fatto che lo spazio in cui viviamo è solcato da tracce di tutti i tipi, anche se quelle nominate tra quelle pagine erano per lo più legate alla natura, quelle di piante e di animali. Ma anche quelle lasciate da chi intende indicare un sentiero di montagna da percorrere e lo fa collocando dei segni che altri possano riconoscere e utilizzare.
Oggi, dopo molti anni, mi accorgo che tutta la vita ha comportato di seguire una traccia, e non solo la mia vita, ma lo stesso vale per quella di tutti. Noi viviamo in mezzo a tracce innumerevoli e ci muoviamo come sospinti nella traiettoria da esse segnata. Se guardiamo alla nostra storia, sia personale che collettiva, per ogni passo compiuto e in qualunque campo c’è sempre stato qualcuno che ha lasciato una traccia per coloro che seguono. Il problema, se di problema si può parlare, è che non ne siamo consapevoli e spesso ci convinciamo di essere i primi e gli unici che vivono una certa esperienza, e perciò ci sentiamo soli. Questo vale sia per il “bene”, che per il “male”, cioè per quello che ci piace e per quello che non ci piace.
Ma se provassimo a immaginare la fitta rete di tracce costruita da altri esseri e messa a nostra disposizione? Forse anche queste tracce fanno parte della “rete di luce” che avvolge la Terra, alla stessa stregua dei “fili d’oro in cui scorrono luce e amore spirituali” che visualizziamo nella nostra meditazione? Penso proprio di sì.
Tutto lascia una traccia nello spazio: ogni pensiero, ogni sentimento, ogni gesto, ogni parola…
Eppure una delle più grandi paure degli esseri umani è quella di morire senza lasciare traccia di sé! La drammatica domanda “Cosa resterà di me?” è sempre lì in agguato e spesso ci trae in inganno, creandoci la parvenza che di noi non resterà nulla, a meno che non abbiamo scritto dei libri o non abbiamo una prole o non abbiamo fatto nulla di cui chi resta possa ricordarsi. Che illusione!
La paura che di noi non resti nulla è una delle più consistenti intorno al tema della morte. Certamente proprio questa paura sta anche alla radice del fenomeno della nevrosi attuale da social: basta lasciare in rete dei segni di se stessi e questa è già una garanzia di esistere.
In realtà, siamo tutti dei costruttori di tracce: il diventarne consapevoli può fare la differenza sia rispetto all’intensità delle tracce che lasciamo dietro di noi e intorno a noi che, quando sono parte di un processo cosciente si fanno molto più incisive, che rispetto all’illusione del vuoto, della solitudine e della fine delle cose. Tracce, tracce di colori e di suoni, che sono presenti in tutto ciò che viviamo.
Gli animali sono sensibili alle tracce sul piano fisico e ne ricavano molte indicazioni. Gli esseri umani sono dotati di corpi su tutti i livelli, da quello fisico a quelli sottili: attraverso ogni corpo possono percepire le tracce in cui sono immersi, in modo ovviamente corrispondente al loro sviluppo. Ad ogni livello esiste qualcuno che “è passato di lì” prima di loro e che apre perciò la via.
Il grande strumento che consente di leggere le tracce è l’osservazione: non solo quella visiva, la più scontata, ma anche quella appartenente agli altri quattro organi di senso. E non solo relativa alle sensazioni fisiche, ma anche al loro corrispettivo psichico e interiore. Più si impara a riconoscere le tracce e più lontano si può arrivare nel viaggio della vita.
Una volta individuate le tracce su cui risuoniamo di più, queste si incidono nel cuore, il custode silenzioso della mappa della nostra vita, e lì restano per sempre.
Tanto è importante imparare a riconoscerle, quanto a lasciarle consapevolmente dietro di noi: riappropriarci di questa facoltà della coscienza umana, implica anche la responsabilità di lasciare impresso nello spazio il meglio di noi stessi. In fondo, il servizio è proprio questo: imprimere nell’etere che ci circonda i segni del passaggio della nostra coscienza e delle sue qualità. Si amplia così il confine della Scienza dell’Impressione e anche noi possiamo esserne coadiutori attivi.
E’ servizio anche saper leggere e percorrere le tracce lasciate da altri: qualunque forma esse abbiano, sono un dono che è stato preparato per noi e che ha qualcosa da dirci. E’ bello immaginare la relazione sottile che va così a collegare l’attore di una traccia e il suo recettore: un rapporto sottile e raffinato, che nulla e nessuno potrà mai cancellare. Una rete di cooperazione spazio-temporale cosciente tutta da scoprire!
Di Marina Bernardi