Senza libertà non possiamo parlare di servizio perché servizio e libertà sono indissolubilmente interconnessi
Nel primo capitolo del libro “Il Servizio – La via Maestra per la realizzazione spirituale”, la nota principale del servizio viene identificata nella “istanza a collegarsi con un livello superiore di sé stessi, cioè a cercare un contatto con il proprio Sé”.
La parola servizio è inevitabilmente impregnata di molto che viene dal nostro passato, sia individuale sia collettivo, a partire dal retaggio del processo educativo a cui siamo stati sottoposti: in esso il bambino è spesso riportato a dare attenzione all’altro, aiutandolo così a uscire dal proprio naturale egocentrismo e a includere gli altri nel proprio piccolo mondo.
In un’età successiva, quella cosiddetta “della ragione”, l’attenzione a ciò che è altro da noi si ripresenta in molti – purtroppo non in tutti – come ricerca e definizione dei propri valori: tale atteggiamento diventa perciò non solo qualcosa che l’ambiente in qualche misura richiede, come nel bambino, ma una precisa scelta basata su una propria valutazione e convinzione.
Questo è l’atteggiamento della maggior parte delle persone che hanno sviluppato in qualche misura l’altruismo: un effetto di sano buon senso e di disposizione spontanea, che si traduce in comportamenti di buona volontà in cui molto spesso si mescolano le ingiunzioni che risalgono alla propria infanzia, i propri valori e convinzioni personali, i propri bisogni più o meno riconosciuti: il bisogno di appartenenza, di conferma, di gratificazione e così via verso un lungo possibile elenco. Tutti questi elementi, e altri ancora, tendono ad aggregarsi nel bisogno fondamentale di un’autoimmagine che corrisponda sufficientemente a ciò che ci aspettiamo da noi stessi.
È su questo terreno di generica buona volontà che è atterrata, per la maggior parte di noi, la percezione di “qualcosa che è oltre” e che ci porti a un modo di essere che vada oltre l’ordinarietà della nostra vita personale. È da questa prima percezione che nasce la tensione a scoprire questo “oltre”, a dargli un contenuto e a trovargli infine anche una forma espressiva in una qualche attività di servizio. È questo lo stadio dell’aspirazione, così ben descritto nei riferimenti che seguono.
E questo è il percorso intrapreso dalla maggior parte di noi, credo di poter anche dire da tutti noi.
È proprio aderendo al richiamo verso il servizio, almeno per quel tanto che del servizio riusciamo di momento in momento a comprendere, che prima o poi il nostro terreno di partenza, quello su cui abbiamo poggiato i primi passi nell’accostarci a questa nuova esperienza di vita, comincia a franare sotto i nostri piedi e compaiono i primi punti di crisi.
È quando piano piano quella vocina interna che ci suggerisce “devi dare, devi fare” comincia a farsi più insistente, che noi ci accorgiamo che sì, ci diamo molto da fare, ma che c’è una parte di noi che si sente un po’ forzata e che talvolta farebbe volentieri altro.
È quando l’aspettativa che la nostra iniziale adesione ha ingenerato nei nostri compagni di gruppo ci fa percepire la pressione da parte dell’ambiente intorno a noi, che cominciamo a sentirci obbligati e nello stesso tempo fatichiamo a ritrovare il nostro individuale punto di equilibrio.
Ora non mi addentro nella natura delle varie crisi possibili, cosa che sarà senz’altro tema di scritti futuri. Vado invece subito al nocciolo della questione, che si condensa nella parola LIBERTÀ.
Come la fase dell’adesione iniziale al servizio prendeva la spinta sia dall’ottemperare all’antico richiamo a una maggiore responsabilità verso gli altri, sia da una risposta libera a delle istanze interiori appena intuite, così questa stessa dualità si ripresenta di nuovo a ogni punto di crisi.
L’entusiasmo, che di certo ognuno di noi ha provato nel suo primo approccio al servizio, era nutrito dalla libertà: semplicemente perché, di fronte alle incombenze di una normale vita personale e sociale, il servizio era visto come un “optional”, nel senso che nessuno ce lo richiedeva o ce lo imponeva, come invece avviene in seguito nella relazione con altri “doveri”.
E di nuovo e sempre l’esperienza della libertà va ritrovata e recuperata di fronte a ogni momento di demotivazione e di stanchezza, così che tutto ciò che facciamo sia radicato nella libera scelta.
Farlo è piuttosto semplice. Bastano alcune domande da porre a sé stessi: voglio veramente fare ciò che sto facendo? Mi sento davvero libero di sceglierlo? E, se non è così, cosa mi impedisce questa libertà?
Dopo aver risposto a queste domande, siamo pronti per entrare un po’ di più dentro di noi, per andare un po’ più giù e per cercare in uno spazio più profondo un nuovo punto di libertà. È da quel punto che possiamo chiederci cos’è il servizio OGGI per noi, se ancora è un valore, che tipo di valore è e, infine, come vogliamo realizzarlo.
Una cosa è certa: senza libertà non possiamo parlare di servizio perché servizio e libertà sono indissolubilmente interconnessi.
In sintesi: è solo attraverso un’esperienza di libertà che ci addentriamo sulla via del servizio ed è solo attraverso un’esperienza di libertà rinnovata, e periodicamente riverificata, che possiamo continuare a percorrere quella via. In gioia, perché questa nasce solo dove c’è libertà.
Marina Bernardi