essere imparziali, ma mai neutrali

Premetto che il tema di questo mio scritto è piuttosto insolito. Per lo meno è insolito tra noi, entro lo spazio di comunicazione della Comunità. Perché insolito? Perché riguarda uno dei temi più scottanti, e contemporaneamente più scivolosi, della vita dell’umanità: la politica.

Al primo punto dello Statuto costitutivo della nostra Associazione è scritto: “è apolitica e aconfessionale”.

Eppure la Comunità da sempre “fa politica”: lo fa con l’ideazione, l’applicazione e la revisione periodica della sua struttura di governo, lo fa con il collocare il gruppo, perciò un’entità sociale, al centro della sua vita e del suo senso di esistere. Lo fa con ogni scelta che riguarda la nostra piccola collettività. Lo fa con la ricerca sui sette Raggi, tra cui ce n’è uno, in particolare, che ha come suo compito manifesto proprio la politica.

Ma ci sono anche alcuni momenti, nella storia del nostro gruppo, che sono stati colorati da un pensiero orientato alla politica: ne ricordo solo alcuni, e forse altri di voi ne ricorderanno altri. Negli anni 93-94 nacque un piccolo gruppo, la “Stella D”, che aveva come compito la politica: vi fu condotta una ricerca sugli scritti degli utopisti, cioè di coloro che, nel corso della storia, si erano impegnati a formulare delle idee su possibili nuovi modelli di organizzazione sociale, da Platone, a Fourier, a Tommaso Moro a Tommaso Campanella…

E poi di nuovo ai primordi di Valle del Sole, quando cercavamo proprio negli scritti politici di questi utopisti degli stimoli utili alla piccola società a cui stavamo cercando di dare vita.

Ancora alcuni anni fa, ce ne occupammo attraverso l’organizzazione di un paio di seminari sulla nuova politica, a cui seguirono molti incontri di un gruppo che intendeva dare vita a un filone dedicato alla politica nell’ambito delle nostre Scuole.

Condivido anche una mia esperienza individuale, ma non per questo sganciata dai valori e intenti della Comunità: sempre agli inizi degli anni 90 con un piccolo gruppo di Roma, collegato alla camera dei deputati, demmo vita a un’iniziativa di meditazione che raccoglieva i rappresentanti di varie religioni e di gruppi spirituali, analoghi al nostro, che avrebbe avuto il compito di sostenere l’opera del Governo italiano. L’iniziativa andò avanti per alcuni mesi, bene accolta dall’allora presidente del Consiglio, ma ebbe termine non appena cambiò il Governo.

Si è inoltre nominata spesso l’ “anima della nazione” e  nel 2017 vi fu anche un Convegno su questo tema.

Insomma, la politica è stata sempre presente, in un modo o nell’altro, nello spazio del nostro gruppo, ma nello stesso tempo è sempre rimasta circondata da un alone di riserbo, quasi un tabù, che ci fa trattenere dal nominarla e dal darle una forma più precisa.

In fondo la Comunità tutta – e non solo i suoi Villaggi – è una piccola Polis, una piccola città, localizzata qui in Umbria solo parzialmente, perché i suoi cittadini risiedono in varie parti d’Italia e del mondo; e ogni polis è inevitabilmente connessa alla politica, di cui condivide la radice stessa della parola che la definisce.

Sorge allora una domanda: cosa ci inibisce nell’ addentrarci con più decisione anche in questo campo della vita umana? Che cosa temiamo? Quali aspetti percepiamo come potenzialmente scivolosi tanto dal farci trattenere o quasi dall’esprimerci anche su questo tema con la stessa disinvoltura che riserviamo ad altri?

Sto riflettendo su questa domanda e condivido con voi ciò che al momento mi viene. Credo che una grossa parte dell’inghippo stia nel salto che ognuno di noi coglie tra il livello dell’idea e quello dell’applicazione di quell’idea attraverso le forze di governo, cioè i partiti politici. Sul piano delle idee ampie ed elevate non è difficile trovarsi d’accordo, anzi: credo che, condividendo il proposito del perseguimento del Bene Comune e di tutte le qualità e i valori ad esso collegati, non sorgerebbero discussioni tra noi su questo piano.

Ma nel passaggio dall’idea alla sua realizzazione a livello globale, cioè dalla politica ai partiti che la rappresentano, il salto è proprio grande: entrano in gioco le personalità umane con tutti i loro limiti e sappiamo bene che più vasto è il bacino di azione e più potenza acquistano ogni parola e ogni atto… e anche ogni personalismo e distorsione. Inoltre la parola stessa “partito” suggerisce la separazione, perché “partire” vuol dire separare e separarsi: un partito ben separato e contrapposto all’altro, dove ognuno di essi difende le sue idee e attacca quelle altrui. Così le idee diventano ideologie, cioè insiemi di assunzioni e di dogmi, dei “pacchetti” preconfezionati, di fronte a cui non si può discriminare e selezionare ciò che ci corrisponde e ciò che non ci trova d’accordo. Se scendiamo sul campo e scegliamo una linea e un partito, automaticamente ci separiamo anche dalle buone proposte di altri. Credo che questa sia la ragione, o almeno una delle ragioni, per cui tra noi non parliamo mai di politica, e nemmeno sappiamo, lo confesso, quali siano le preferenze elettorali dei nostri compagni di gruppo più vicini.

Se abbracciamo l’idea di Sintesi, nota sottesa a tutto ciò che facciamo come tendenza e aspirazione, ovviamente il “partitismo” assume una valenza antitetica alla direzione che abbiamo scelto. Sul campo della politica come attualmente è, non esiste più un’idea buona e una meno buona, ma esiste solo un colore o un altro, una linea o un’altra, un partito o un altro e, infine, dei personaggi o degli altri: una serie di “pacchetti” da prendere o lasciare in toto.  Perciò la maggior parte di noi si astiene dal parlarne, per lo meno al di là di un livello ideale e di valore certo.

Mi sorge una domanda, forse un po’ provocatoria: se il Cristo, che tutto il mondo attende con trepidazione, arrivasse nella forma fisica di un politico, sapremmo riconoscerlo al di là delle visioni partitiche? E’ una domanda un po’ provocatoria, ma ben si combina con certe previsioni, portateci dagli Insegnamenti spirituali, che il Cristo stavolta potrebbe presentarsi anche sotto forma di un economista o di un politico…

C’è poi il fatto della natura stessa della nostra Comunità: siamo alcune centinaia di soci, con valori e direzioni di vita comuni, ma con idee e appartenenze partitiche inevitabilmente diverse, e questo è un grande valore che va pienamente rispettato.

Come fare allora per far entrare di più e in modo non solo episodico, ma più stabile, la Politica nella vita, nel pensiero e nelle parole del nostro gruppo? La Politica come parte delle visioni del futuro e come sperimentazione e confronto quotidiano? Questa è la domanda che voglio porre nel mio cuore in questi giorni tanto carichi di promesse e la pongo anche nel cuore del gruppo, certa che le risposte non tarderanno ad arrivare.

Una prima risposta la trovo in un’affermazione spesso ripetuta da Enzio Savoini: “essere imparziali, ma mai neutrali”, frase che fa molto riflettere. Essere imparziali vuol dire non schierarsi in modo rigido da una parte o dall’altra, ma saper stare al di sopra delle parti (e dei partiti!) pronti a cogliere ciò che ognuna di esse ha di meglio da offrire, imparando a riconoscere il Bene sotto qualunque nome si presenti. “Non essere neutrali” significa evitare lo stato di acquiescenza passiva di chi si tiene in disparte per meglio difendere i propri interessi e la propria zona di conforto.

Per ora restiamo fedeli a quei valori che sono i pilastri della nostra bella costruzione di una Comunità, cioè un esperimento di piccola, nuova società: solidarietà, scambio, cooperazione, evoluzione e sviluppo, interdipendenza ed interconnessione e molti altri ancora… Ma metterei al primo posto la Sintesi, la grande energia e nota che può farci superare ogni separazione in vista di un punto di conseguimento più elevato e più ampio.

Vi lascio con le parole di Platone, che, oggi più che mai, risuonano come un appello:

Colui che fa della contemplazione e della verità il suo unico studio, non ha tempo di abbassare i suoi sguardi sulla condotta degli uomini per censurarla ed esporsi così al loro risentimento e alla loro malevolenza: avendo la sua attenzione sempre rivolta sopra oggetti ben determinati e sempre uguali a se stessi, che non conoscono né inimicizie, né ingiustizie, che conservano sempre un ordine razionale, egli si rivolgerà tutto ad imitare questo ordine ed a realizzarlo in se stesso Il più che sia possibile…Così il filosofo, occupato del bene ordinato del mondo divino, diventerà anch’egli un uomo bene ordinato e divino, almeno per quanto la natura umana lo permette, perché in tutte le cose si trova sempre qualche imperfezione. Se ora egli si sente spinto a non limitare le sue cure alla propria perfezione ed a far passare nello stato e nei costumi  degli uomini quell’ordine che ha ammirato nella realtà divina, credi tu (Adimanto) che egli sarà un cattivo maestro in ciò che riguarda la temperanza, la giustizia e le altre virtù civili?…Se la moltitudine arriva una volta a vedere  la verità di quello che ora diciamo dei filosofi, vorrà essa ancora essere loro ostile e si rifiuterà ancora di credere che lo stato potrà solo essere felice quando un artista ne avrà tracciato il quadro secondo il modello divino?”  (Platone, Repubblica 6, 499 – 500)

Marina