“Interminati spazi…
Sovrumani silenzi”
Ero molto giovane quando queste parole di Leopardi risvegliarono un’eco profonda dentro di me, eco che posso anche associare ad una esperienza molto più antica.
Avevo poco più di quattro anni quando, durante la guerra, la mamma una notte ci svegliò e ci portò fuori: era stato dato l’annuncio di un possibile bombardamento. È indelebile dentro di me (inconsapevole delle ragioni di quell’uscita) e indescrivibile il vissuto di quando vidi il cielo notturno per la prima volta. Ricordo perfettamente anche cosa pensai: “Ma come al mondo esiste una cosa così bella e nessuno me l’ha mai detto?”… Una formulazione mentale che non sembra propriamente di una bambina così piccola…
Infinito, Bellezza, Silenzio.
Un trinomio che ha orientato la mia vita anche se non ne ero assolutamente conscia. Anche molto più tardi, infatti, in un periodo di difficoltà esistenziale, mi aggiravo di notte “dialogando” con le stelle. Trovavo pace in quel silenzio e anche nella bellezza della natura: la multiforme varietà dei fiori, la maestà degli alberi, la potenza delle cime alpine, il canto degli uccellini, il frinire delle cicale. Ma quel silenzio non era assenza di suoni, come uccellini e cicale dimostravano era qualcosa di diverso una sorta di spazio che vibrava armonicamente ad ogni suono, rimandandone significati reconditi e armonia con tutto: non c’era delusione, non c’era rivendicazione, non c’era rammarico, tutto aveva un senso così com’era anche se non andava bene secondo canoni tradizionali o desideri.
Molto più tardi, grazie alla psicosintesi, al lavoro con Alfred Tomatis e agli Insegnamenti ho potuto dare una lettura “scientifica” a tutto questo e prendere possesso volontario di quella dinamica.
È vero c’è uno spazio dentro di noi che la fa accadere: uno spazio psichico sicuramente legato al cuore, non il cuore fisico, quel cuore che è un pezzetto di infinito raggiungibile anche da coscienze cosiddette non evolute, perché la Vita è in tutto e i suoi potenziali appartengono a tutti.
Allora come fare per abitare sempre in quello spazio? Più facile a dirsi che a farsi? Non proprio.
La meditazione è certamente una via, ma non posso dimenticare un piccolo brano delle dispense di meditazione in cui Assagioli riferisce la condivisione di una persona abituata a meditare.
“Ero immerso in una profonda meditazione e sapevo che avevo raggiunto uno stato limpido e radioso quando il seguente pensiero traversò la mia mente: “So di trovarmi a questo livello, eppure sono sordo e cieco e non riesco ad udire e vedere nulla”. Passò un attimo, ed ecco la risposta piena di umorismo: “se tu fossi anche muto potresti riuscire a vedere e a sentire.” Se fossi anche muto… se stessi in silenzio…
A quel silenzio di cui parlo si può giungere prima, e allora la meditazione sarà veramente meditazione portando tutti i suoi frutti per la coscienza.
Si parte dal potersi disidentificare dall’uso che abbiamo fatto fino ad oggi delle nostre funzioni psichiche, in particolare dalla sensazione dell’udito e qui si entra in un paradosso: per raggiungere il silenzio si utilizza il suono. Ci si dispone ad un rilassamento interiore fisico-emotivo, si lasciano entrare solo suoni e ci si allena a lasciarli entrare tutti, ma a non filtrarli secondo categorie mentali: sono tutti solo suoni. Non il vento, non un aereo che passa, non la TV dal volume troppo alto del vicino di casa con le finestre aperte: suoni. Poi si inizia a farlo anche con le voci umane. Questo è un po’ più difficile: si deve lasciarle entrare ma non ascoltare il contenuto di comunicazione che portano, sono solo suoni; in sostanza ci si allena a distinguere il suono come contenuto sensoriale, dal suo contenuto mentale, dunque le funzioni psichiche sono coinvolte. Ovviamente per non incorrere in difficoltà relazionali, in un primo momento è meglio farlo con una voce registrata o con la radio, si può anche farlo in un ambiente affollato, un treno o un supermercato, prestando orecchio alle conversazioni altrui, ma impegnandosi a non seguirne il contenuto. Detto così può sembrare assurdo o irrealizzabile, ma tutti coloro che l’hanno sperimentato testimoniano che è possibile.
A quel punto si è in uno spazio psichico diverso da quello usuale ed è proprio lo spazio del silenzio che non è assenza di suoni, ma è altro ed è uno spazio di potere interiore creativo. Cambia la relazione con l’oggettività, si è meno reattivi: forse ci si è sottratti in parte alle identificazioni emotive che la deformano, penso di poter dire che si è raggiunta una autoidentificazione più profonda di quella con l’io fenomenico e sociale e dietro i suoni naturali, voce umana compresa, da quel centro interiore e silenzioso, si percepisce altro. Dal canto mattutino degli uccelli, per esempio, si capisce se il giorno è di sole o nuvoloso prima di aprire gli occhi; dalla voce umana l’intento che la muove: può essere rude, ma profondamente amorevole, o, viceversa essere garbata e piena di aggressività, e quanta sofferenza anche arriva dietro quella aggressività! E l’abbaiare dei cani nella quiete della notte non è un disturbo, è una discontinuità sonora che non interrompe l’altro silenzio, semplicemente afferma la loro realtà di essere guardiani. E così tanto altro.
Spazio e tempo diversi da come li abbiamo vissuti fin’ora… interminati spazi… sovrumani silenzi… perché non apprestarsi a viverci? E non vi si “naufraga”, si vive di più.
Secondo me val la pena provare: la Nuova Civiltà è essenzialmente disidentificazione dal noto e dall’usuale… non siamo nati in quest’epoca per aiutare a costruirla?…
Mariagrazia Sassi