La meta è lo scopo (da qui la traduzione inglese di goal), più goals ci prefissiamo nel lavoro che eseguiamo, più esso sarà significativo e stimolante.

Il fatto che il lavoro riempia gran parte delle nostre giornate e delle nostre vite fa sì che ad esso vengano vincolati aspetti fortemente esistenziali: significato e vuoto, libertà e responsabilità, dovere e diletto, occupazione e tempo libero. Lo psichiatra e filosofo viennese Viktor E. Frankl ha indicato la professione lavorativa fra quelli che egli aveva definito «valori di creazione», attraverso i quali l’uomo può trovare un significato nella propria vita. Il lavoro amato non è mai puramente un mezzo per un fine come quello di guadagnare dei soldi, raggiungere un certo status o una buona posizione. Il lavoro, analizzato da un punto di vista esistenziale, presenta la capacità creativa (valore di creazione) di poter realizzare qualcosa di unico, e ciascuno è chiamato a rispondere singolarmente a questa chiamata. Nessuno può sostituirci in questo lavoro indipendentemente dal tipo di attività o dai risultati che produce. È l’azione in sé di lavorare che offre questa opportunità, unitamente al significato che noi gli attribuiamo.

In questo senso la storia dei tre spaccapietre è significativa: Ognuno dei tre spaccapietre, guarda il proprio lavoro da una diversa prospettiva e di conseguenza assume un diverso atteggiamento nei confronti di ciò che sta facendo e gli attribuisce un diverso senso. A seconda della prospettiva, inoltre, anche la qualità del lavoro è nei tre casi, completamente differente.

Un concetto fondamentale in ambito lavorativo è sicuramente la necessità/capacità di formulare delle mete (goals) da raggiungere. L’immagine della meta unisce perfettamente i concetti di significato e di progetto in un armonico insieme. La meta è lo scopo (da qui la traduzione inglese di goal), più goals ci prefissiamo nel lavoro che eseguiamo, più esso sarà significativo e stimolante. Alla capacità di individuare delle mete si lega il fattore etico quale variabile con cui viene misurata la qualità del nostro lavoro. L’impegnarsi per un comportamento giusto e onesto, rispettoso delle regole, implica una certa dose di forza di volontà che solo la prospettiva di una meta può offrire, tenendo presente che più esigente è la meta, più forza di volontà è richiesta.

Un altro fattore su cui è necessario soffermarsi è il concetto di tempo libero, o più esplicitamente, la capacità di conferire un valore anche ai periodi di inattività e allo svago. Infatti, una delle più comuni deformazioni della nozione lavorativa consiste in una sopravalutazione del lavoro causata da una pericolosa inversione del ruolo uomo-lavoro. L’incapacità di concedersi del tempo libero deriva dal concepire il lavoro come il soggetto e non più l’oggetto, dimenticando che in questo rapporto di ruolo il protagonista è la persona. In questa prospettiva gli errori di fondo sono principalmente due: credere che sia il lavoro a nobilitare l’uomo e non viceversa e credere che il lavoro possa soffocare le preoccupazioni esistenziali e non che sia invece capace di offrire un significato concreto.

Pascal affermava che l’uomo, pur di soffocare i ragionamenti esistenziali che caratterizzano l’essere umano, vuole vivere nel caos delle tante attività che in quel tempo erano la caccia, i salotti o la guerra: «Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, di non pensarci». Questo avviene perché l’uomo spesso dispera quando riflette sulla propria condizione umana poiché non ha gli strumenti per poter rispondere ai dilemmi esistenziali ed è incapace di raggiungere le mete della vita. In questo senso, il lavoro si presenta come un tirocinio pratico, un laboratorio esperienziale, per poter imparare ad affrontare la vita: convertire la propria esistenza in un progetto, in una missione individuale.

Cesare Magro