Sono sensibile al Bello? Lo cerco e lo contatto? Lo so portare nella mia vita? So farmene ristorare e nutrire?
Si dice che, tra tutti i pianeti del sistema solare, la Terra sia il più bello: con i suoi mari azzurri e le sue distese di verde, con le sue valli e le sue vette, essa offre alla vista una varietà di forme e di colori che non pare essere presente su nessun altro pianeta. C’è da chiedersi perché per l’essere umano sia stato predisposto un ambiente di tanta bellezza, e questo fin dai primordi del leggendario Paradiso Terrestre, tanto bello da meritare questo nome.
Forse è proprio lì, nel Paradiso Terrestre come spazio creato ad immagine di Dio, che dobbiamo andare a cercare l’origine della bellezza. Ed è nell’allontanamento dell’uomo da quel luogo perfetto che dobbiamo cercare l’origine della malattia e della bruttezza.
Nel corso del lungo viaggio intrapreso per conoscere se stesso, l’essere umano ha vagato nei meandri del caos, facendosi attrarre da tutto ciò che avrebbe potuto intensificare le sue esperienze. Facendo ciò, egli si è gradualmente scostato dalle grandi Leggi che governano l’universo e che garantiscono retti rapporti, equilibrio ed armonia. Si è manifestata così la malattia, sia quella fisica che quella psichica, sia negli esseri umani che negli ambienti naturali da essi gestiti.
Infatti, una delle Leggi che, nella Guarigione esoterica, spiegano il senso della malattia afferma: “la malattia, sia fisica che psicologica, è radicata nel buono, nel bello e nel vero. Essa è la distorsione di possibilità divine….L’arte del guaritore sta nel far elevare lo sguardo, prima volto in basso, a contemplare l’anima….” In queste parole è già implicito il significato della bellezza nella vita umana: tanto quanto essa è parte della nostra natura profonda, allo stesso modo la sua mancanza, insieme a quella della bontà e della verità, causa malattia. Ne discende dunque che, per recuperare lo stato di salute, la bellezza è necessaria.
D’altra parte, se il richiamo verso la bellezza è insito a priori nella coscienza umana, potremmo non averlo ancora percepito nel corso della nostra esistenza, o potrebbe essere stato soffocato da situazioni di vita avverse. Entrambe queste evenienze sono causate da un certo modo di vivere e perciò provengono dal passato. La malattia dunque è un effetto del passato e la guarigione si rivolge a quel passato per porvi rimedio.
Un paio di domande che possiamo porci al fine di un’auto-verifica sul nostro stato di malattia o di guarigione, sono proprio queste: sono sensibile al Bello? Lo cerco e lo contatto? Lo so portare nella mia vita? So farmene ristorare e nutrire?
Se le risposte sono negative, vuol dire che dentro di noi c’è qualcosa che ostruisce il rapporto con la bellezza, un qualche “tappo” che va riconosciuto e tolto. In modo che questa “possibilità divina” possa fluire in noi. Contemporaneamente a quest’opera di “ripulitura” che permette di fare spazio a un nuovo modo di vivere, il rapporto con la bellezza va instaurato volontariamente: si tratta di un auto- condizionamento cosciente alla percezione del Bello, che a sua volta risveglierà il desiderio e infine l’aspirazione al Bello. E’ una vera e propria auto-educazione, attraverso cui avviene la graduale sostituzione di elementi psichici pesanti e non utili con altri più raffinati e di vibrazione più elevata.
All’inizio questo processo va messo in moto con un atto di autodisciplina, decidendo di circondarsi di bellezza, procurandosi momenti di contatto con la bellezza, prestando un’attenzione mirata alla bellezza. Dopo un po’ l’auto-condizionamento volontario diventerà un’attitudine spontanea.
Allo stesso modo, la ricerca della bellezza richiederà inizialmente degli stimoli intensi e definiti, mentre con lo svolgersi del processo si diventerà capaci di riconoscere la bellezza anche quando non è molto evidente, fino ad arrivare e ritrovarla anche in ciò che alla prima apparenza bello non è.
Grazie alla bellezza ci saremo allora accostati alla nostra parte divina, la sola in grado di guarire veramente le ferite del passato e i mali del presente.
Marina Bernardi