Il Mito
L’impresa degli Argonauti è un mito fondamentale greco databile intorno al 1184 a.C. Questa impresa eroica racchiude molti simboli, tra cui il primo archetipo che introduce alla coscienza di gruppo.
Accadde che il figlio orfano di un Re, allevato da Chirone, il più nobile e sapiente dei centauri, chiamato Giasone il Guaritore, volle recarsi in Colchide a recuperare il vello di un ariete – il Vello d’Oro – depositato in un tempio di Prometeo e curato da una sacerdotessa di nome Medea.
Apollonio Rodio ci narra come trascelse la sua ciurma, mostrandoci una variopinta coorte: Ercole collo di Toro, innamorato del suo cinedo Ila, Melampo dal ciuffo di gazza, Ergino dal manto striato, Ascalafo, con le braccia tatuate di lucertole, Orfeo – il divino cantore – Atalanta, la cacciatrice consacrata ad Artemide, con gli scalpi sanguinolenti appesi alla cinta, le due coppie di gemelli Castore e Polluce ammantati di piume di cigno, e, con loro, i genitori dei più famosi eroi omerici della guerra di Troia, Peleo, Oileo, Telamone, Laerte ed altri ancora per un totale di 50 eroi. (Compiranno l’impresa in 49).
Argo, sotto la supervisione di Atena, edifica la nave perfetta e tutti s’imbarcano verso settentrione, giungendo all’isola di Lemno dove le ninfe hanno sterminato i mariti, perché fedeli allo schema matriarcale, e ora si gettano sugli argonauti al fine di procreare. L’Argo arriva a Samotracia dove vige ancora il culto della Dea Matriarcale, cui Priapo fa da compagno.
Tutti gli Argonauti sono iniziati a Samotracia e ne escono divinizzati. Riescono a nascondersi alla sorveglianza troiana, che controllava quel territorio, e si inoltrano nel Mar di Marmara. Più avanti Ila, il cinedo di Ercole scappa, ed Ercole si getta a cercarlo per le terre abbandonando in questo modo la missione; gli argonauti infatti si allontanano e li abbandonano. Raggiungono fortunosamente la Colchide e quando Medea e Giasone s’incontrano scocca l’amore, grazie all’intervento di Afrodite ed Eros: si baciano e somigliano a una quercia dorata accanto a un bianco cipresso con radici e fronde intrecciati. Pochi giorni dopo l’incontro Medea, ormai travolta dalla passione per Giasone, accompagna l’Eroe nel santuario dove castrano i buoi sacri, addormentano il drago e strappano il vello agognato. Subito gli argonauti fuggono, invano inseguiti dalla flotta Colchica di Eete. Dopo molte peripezie la nave Argo varca l’ultimo stretto e raggiunge l’isola dove dimora Circe, somma maga devota alla Dea, dove Giasone e Medea sono andati per farsi purificare.
Alla fine, il Vello d’Oro sarà riappeso nel tempio di Zeus nella città di Iolco e Giasone salirà legittimamente sul trono del Re. Il patriarcato è così sigillato per qualche millennio di storia in Occidente e il matriarcato si eclissa senza spegnersi in attesa di nuove nozze nell’Era dell’Acquario. Questa è la sintetica narrazione delle Argonautiche. Quel che ci preme sottolineare è che questo poema epico, come gli altri tre cronologicamente successivi (Iliade, Odissea, Eneide) entra nelle viscere della Storia grazie alla scoperta dall’archeologo tedesco H. Schliemann, che porta alla luce i resti delle città di Troia (nel 1871) e di Micene (nel 1874). Quelli che erano solo favolosi racconti diventano eventi plausibili e reali.
L’unione degli Argonauti
Il viaggio degli argonauti è un’impresa collettiva fortemente caratterizzata da un sentimento di unione e solidarietà “tutti per uno e uno per tutti”, che consente di affrontare tutte le difficoltà e le angosce ad essa collegate.
Gli Eroi che seguono Giasone vengono da tutta la Grecia, dalla Tessaglia dall’Eubea, dall’Argolide e via via sino all’Arcadia. Tutti gli Eroi onorano l’ideale argonautico di “concordia nella gloria” che sarà il principio ispirativo della spedizione. Giasone quindi non è un Eroe che combatte solo come Perseo, ma è sostenuto da una associazione dal carattere aristocratico e regale con uno “spirito di corpo” che esalta e santifica un’ideale di gioventù per i giovani principi desiderosi di compiere la loro iniziazione come Re. La loro è l’espressione di una società superiore a quella di Achille e Odisseo, non solo nell’arte della guerra ma nel campo della coscienza morale e dell’ideale di fratellanza che perseguono. In altri termini sono i precursori di una Coscienza di Gruppo eticamente orientata.
Giasone
Giasone è il magnete grazie al quale tutti gli altri si adunarono da tutta la Grecia: come gli altri Argonauti subisce delle prove collettive, ma per la gloria e la salvezza della stirpe degli Eloidi compie da solo delle prove particolari grazie a misteriose combinazioni di forza coraggio e magia. Non troviamo in Giasone l’eroe omerico, l’eroe tipico, il vero eroe da leggenda. Giasone non ha il convenzionale comportamento del guerriero, l’istintiva fiducia in sé stesso. È un eroe previdente che conosce i dubbi e le incertezze, che sente il peso della propria responsabilità. Giasone è saggio, riflessivo; all’eroismo convenzionale basato sulla forza, egli oppone la condotta intelligente. Le sue parole ai compagni prima di intraprendere un’azione decisiva non sono dell’eroe che si autocompiace ma sono le parole di un comandante arguto che vuole la collaborazione dei compagni e che sa che occorre coniugare la qualità del coraggio e quella della scaltrezza.
Giasone è garbato, è prudente ed avveduto come un diplomatico e sa mantenere la direzione dell’esecuzione del compito. È l’antesignano e l’emblema del Focalizzatore di Gruppo.
Il Vello d’Oro
Il valore del vello va ricondotto al valore simbolico del montone e dell’oro e alle proprietà magiche attribuite anticamente alla pelle sacrificata.
Le ricchezze del Re sono le sue greggi; l’ariete, guida del gregge è simbolo reale. La sua pelle nel mondo egiziano era strumento d’ immortalità ed avvolgeva come una “culla” il defunto, assicurandogli un efficace simulacro di rinascita ed ascesa in cielo. Si comprende dunque come l’Oro venga ad aggiungere la perfezione della sua magia alla proprietà della pelle. L’oro è il segno metallico delle magie solari e dell’incorrutibilità di cui il montone è il segno animale. Se l’Oro attirava il sole, il vello attirava l’oro. Quindi il sole rappresenta il nostro Sé, l’essenza individuale, l’epifania suprema del divino. Il suo segno igneo corrispondente è l’Ariete, che dimora presso il Regno di Eete, figlio di Helios e luogo del Sol Invictus.
La ricerca e la conquista del Vello d’Oro rappresenta per Giasone la sua raggiunta sovranità sulle sue parti e la sua piena autorealizzazione. Rappresenta anche l’identificazione con la coscienza di gruppo, sintetizzabile nel motto: “io sono gli argonauti, noi siamo Giasone”.
Articolo di Pasquale Morla