Immagine CC BY 4.0 Silvio sorcini, CC BY-SA 4.0 via Wikimedia Commonss
Pienamente umano, il rapporto tra Francesco e Chiara venne tuttavia trasfigurato dalla comune tensione verso l’Eterno, verso quel Dio che avevano amato e sul quale avevano scommesso la loro vita.
La storia di Francesco e Chiara, al di là delle fantasticherie romantiche che ritenevano fossero “fidanzati” prima di intraprendere ciascuno la propria strada, semplicemente si impone da sé. Il loro fu un legame forte e libero, tenuto insieme dalla scelta comune della loro fede in Cristo e dalla sequela della Croce.
Ripercorriamo brevemente i momenti salienti del loro incontro e successivo rapporto. Quando il figlio del ricco mercante Pietro Bernardone restituì al padre i soldi e gli stessi suoi abiti, rimanendo nudo sulla piazza, Chiara, figlia di Favarone di Offreduccio, aveva circa tredici anni, ed è impensabile che tale gesto, nella sua drammaticità, sia rimasto privo di risonanze nella sua persona. Chiara ebbe modo più volte di sentir parlare di Francesco e della sua conversione. E fu a Francesco e ai suoi compagni che lavoravano con lui alla Porziuncola, che Chiara mandò del denaro affinché potessero comprarsi della carne. Fu questo il primo contatto di Chiara con Francesco e il suo gruppo. A quel primo contatto ne seguirono altri, e, furono contatti personali, dei quali sembra sia stata Chiara a prendere l’iniziativa. E fu Bona di Guelfuccio a darne testimonianza al Processo di Canonizzazione, affermando che “più volte andò con lei a parlare a Santo Francesco, andava secretamente, per non essere veduta da li parenti”. Chiara venne in pratica invitata a quel rovesciamento di valori che era stato il punto di approdo della conversione di Francesco. “il giullare di Dio” aveva abbandonato una condizione di privilegio per entrare nella condizione dei poveri, degli emarginati, dei disprezzati, di coloro che non avevano condizione alcuna.
Non aveva scelto di venire in soccorso degli ultimi; semplicemente aveva scelto di farsi uno di loro, abbracciando il dolore umano, l’emarginazione, come via prediletta per seguire le orme del suo Maestro. Da quei colloqui Chiara maturò la sua decisione, che attuò poi con una fermezza incrollabile ed un coraggio sconcertante. La sua fuga dalla casa paterna fu meditata e lungamente studiata (notte delle Palme 1212). Prendeva forma e si stabilizzava allora, da quella comune “uscita da Assisi” anche quel rapporto che legherà Chiara e Francesco sino alla morte di quest’ultimo (1226) e sopravvivrà ancora nel ricordo di Chiara per altri ventisette anni di tenace fedeltà all’intuizione religiosa di Francesco.
Il loro rapporto si pone come un modello di riferimento con cui confrontarsi, soprattutto in un’epoca come la nostra, dove si diffonde e cresce sempre più una fragilità psicologica, che spinge a fondare sulla morbosità più che non sulla libertà i rapporti personali, siano essi amorosi o di amicizia.
La storia di Francesco e Chiara ci insegna come un rapporto umano profondo, di vero amore, possa però mantenersi libero, senza degenerare nella schiavitù dell’altro o divenire schiavitù per l’altro, lasciando sempre a Dio il primo posto, in maniera stabile e definitiva. Francesco e Chiara sono esempio di come un uomo e una donna possano essere uniti nella totale purezza, lontani da ogni concupiscenza ed egoismo, totalmente uniti, perché totalmente liberi e totalmente offerti a Cristo e ai fratelli. Totalmente espropriati da ogni cosa, essi sapevano tuttavia amare come nessun altro, perché amavano gli uomini e le cose con l’Amore che viene da Dio e con questo stesso Amore sapevano amare non soltanto uomini e cose, ma sapevano reciprocamente amarsi e comprendersi, per cui essi hanno vissuto l’uno per l’altro, ma soltanto perché entrambi hanno vissuto per il Cristo. Ed è il Cristo “la pietra angolare” su cui Francesco e Chiara hanno fondato la loro costruzione, e in Cristo sono divenuti anch’essi parte di un edificio più vasto, vale a dire la comunità dei credenti. Tra loro non c’era ombra né macchia, né v’era velo all’altrui comprensione.
Il loro fu un rapporto intenso, non basato sull’emozione di un momento, e tale da non cedere al primo vento contrario.
Sbaglierebbe di grosso, chi volesse relegare Chiara al ruolo di personaggio trainato e subalterno, dipendente dalla figura di Francesco. È È un dato di fatto che Chiara nomini sempre Francesco chiamandolo “padre”: soltanto nel suo Testamento questo avviene diciotto volte! Lo stesso autore della Leggenda di Santa Chiara usa di queste espressioni: “(Chiara) si affida allora completamente al consiglio di Francesco, scegliendolo come sua guida, dopo Dio, nella via da seguire. Da quel momento in poi la sua anima è tutta legata ai suoi santi consigli ed accoglie con cuore ardente ciò che egli le va insegnando intorno a Gesù buono”. Non bisogna faticare troppo con la fantasia per pensare che i parenti di Chiara abbiano visto in Francesco il principale responsabile dei colpi di testa della ragazza. Chiara era però tutt’altro che un carattere debole; molti storici, anzi, le attribuiscono un carattere più forte di quello dello stesso Francesco. In realtà, è Chiara stessa a smentire decisamente tutte le supposizioni sulla sua fragilità.
Nel VI capitolo della sua Regola (e sottolineiamo sua, perché Chiara fu la prima donna a scrivere una regola per delle donne), essa afferma: “dopo che l’Altissimo Padre celeste si degnò di illuminare l’anima mia mediante la sua grazia perché, seguendo l’esempio e gli insegnamenti del beatissimo padre nostro Francesco, io facessi penitenza, poco tempo dopo la conversione di lui,liberamente , insieme con le mie sorelle, gli promisi obbedienza”. Chiara, dunque, sostiene che ella promise obbedienza liberamente, vale a dire non indotta né forzata da alcuno, fisicamente o psicologicamente. Queste affermazioni Chiara le ripete nel Testamento, aggiungendo anche come Francesco attese che lei e le sue sorelle dessero prova di forte volontà, ferma convinzione e grande capacità di accettazione delle penurie e sofferenze imposte della vita evangelica, prima di accoglierle nell’obbedienza e garantire loro la cura e l’assistenza spirituale sua e dei frati. Un rapporto tra persone libere, dunque, convinte e coscienti delle loro scelte, che si presentano come il frutto di una risposta ad un’illuminazione ricevuta da Dio. Un rapporto che lasciò i due sempre liberi anche uno nei confronti dell’altro; in cui l’altro non veniva mai sopravalutato, reso indispensabile: se gioivano profondamente della loro presenza reciproca, di questa presenza sapevano però fare anche a meno! Una libertà che sapeva dolcemente contraddire, correggere, dissentire: fu Francesco, assieme al vescovo di Assisi, ad ordinare a Chiara che mangiasse qualcosa nei giorni di lunedì, mercoledì e venerdì, nei quali lei soleva fare completo digiuno. Pienamente umano, il rapporto tra Francesco e Chiara venne tuttavia trasfigurato dalla comune tensione verso l’Eterno, verso quel Dio che avevano amato e sul quale avevano scommesso la loro vita. Entrambi si erano continuamente dissetati all’acqua viva del Vangelo ed entrambi desideravano tornare ad immergersi nella sorgente. Gran parte della loro vita, e soprattutto gli ultimi anni, furono segnati dalla sofferenza fisica e spirituale. Tutti e due passarono attraverso la porta stretta del dolore, che li martoriò a lungo ma non li vinse.
Con la loro vita e la loro apertura all’Assoluto, essi ci insegnano che l’uomo non vale per ciò che possiede, per l’ufficio che esercita o per l’abito che indossa, ma l’uomo vale per ciò che è e riesce ad essere.
Ci ricordano che Dio ci chiama a libertà e che il più tragico destino sarebbe per noi quello di rifiutare una tale proposta, perché vinti dalle nostre paure. Che Egli è rifugio per gli eletti e per gli umili che gridano a Lui che la nostra vita ha senso solo se diviene dono per gli altri e se riusciamo anche noi a farci piccoli ed umili come il Figlio di Dio si è fatto piccolo ed umile a Betlemme. Ci insegnano che è vera la parola del Signore: “vi è più gioia nel dare che nel ricevere”. Il rapporto tra Francesco e Chiara fu soprattutto un rapporto vissuto nella fede del Figlio di Dio, di cui avevano riscoperto l’amore profondo: ”mi ha amato e ha dato Se stesso per me!”. Un rapporto che dura per l’eternità, quella stessa eternità a cui essi erano protesi. Un rapporto che diviene segno e stimolo per noi, chiamati a confrontare con esso i nostri rapporti interpersonali e la nostra concezione della vita. Potremmo obiettare che altro è Francesco, altro è Chiara d’Assisi e altro siamo noi, e che quindi il tiro è un po’ troppo alto, passando sopra le nostre teste, e va aggiustato. È vero anche questo. L’ideale sembra talvolta irraggiungibile dobbiamo però avere degli ideali realistici e tendere a modelli elevati e progressivi se vogliamo conseguire traguardi significativi. Il Vangelo è un ideale molto alto: ma non possiamo dire che debba essere tolto di mezzo perché difficilmente raggiungibile.
Gratitudine per i vostri doni Francesco e Chiara! Profonda gratitudine!
a cura di Pasquale Morla, Psicologo Psicoterapeuta, Comunità di Etica Vivente