“Che cosa fai?”, chiese il pellegrino.
“Non lo vedi?”, rispose l’uomo, sorridendo con fierezza. “Sto costruendo una cattedrale”.
Forse tutti voi (o almeno la maggior parte di voi) ricorderà quella storiella che parla dei 3 spaccapietre [1] tanto cara anche a Roberto Assagioli e da lui spesso citata in tema di realizzazione e/o auto-realizzazione. Ebbene è proprio da qui che desidero partire, per fare una riflessione su come ognuno di noi intende e dunque vive quello che, comunemente, chiamiamo il LAVORO che svolgiamo e che occupa la gran parte del nostro tempo quotidiano.
La domanda è di per sé molto semplice: stiamo costruendo una cattedrale o stiamo spaccando “solo” pietre?
Domanda semplice a cui non è così facile però dare una risposta onesta e autentica se, almeno un poco, proviamo ad andare in profondità e a interrogarci sul significato che diamo al nostro lavoro qualsiasi esso sia.
Certamente la risposta “politically correct” è facile: ovvio che sto costruendo una cattedrale! Già, ma poi, davvero è quello che faccio? Davvero è così, con questa visione ampia e questa tensione a “lasciare una traccia” che tutti i giorni mi reco sul lavoro e mi accingo a svolgere quanto da quel lavoro mi è richiesto?
Come si può vedere, la risposta, se consideriamo la variabile SIGNIFICATO, può non essere semplice e ancor meno può essere scontata.
Personalmente posso dire di avere il privilegio di fare un lavoro che quella Cattedrale prova a costruirla, ma solo perché quasi tutti i giorni (mica sempre eh!) penso a quale è il senso di ciò che faccio e provo a portarlo con me e, quanto più possibile, a trasmetterlo: così, quando i miei clienti quel senso lo percepiscono, allora vedo la costruzione avanzare e il suo disegno farsi più chiaro.
C’è stato però anche per me un tempo in cui di fatto lavoravo “spaccando pietre” o poco più ed è durato anche un certo numero di anni e poi…poi ad un certo punto non mi è bastato più ed ho dovuto (si l’imperativo è d’obbligo perché è stato quasi un ordine interno) cercare di guardare oltre e di fare in modo di sentirmi parte di una visione più ampia.
Aggiungere al “Cosa” un COME abbastanza forte è stato il primo passaggio sulla strada del dare un Significato più ampio al lavoro, un Come che si traduce nell’atteggiamento con cui ognuno di noi può svolgere il proprio lavoro, per semplice che sia.
“Se un uomo viene chiamato a fare lo spazzino, dovrebbe spazzare le strade come Michelangelo dipingeva, o come Beethoven componeva, o Shakespeare scriveva poesie. Dovrebbe spazzare le strade così bene che tutti gli ospiti del cielo e della terra si fermerebbero a dire che qui ha vissuto un grande spazzino che faceva bene il suo lavoro.” (Martin Luther King)
Ecco, pressappoco così! Il Come di cui parlavo è questo: un ATTEGGIAMENTO che ci porta a svolgere la nostra occupazione qualsiasi essa sia, nel miglior modo possibile ovvero, perseguendo sempre il massimo livello di eccellenza cui possiamo giungere in quel dato momento.
Lavorando al meglio saremo al meglio e allora staremo perseguendo davvero la nostra piena realizzazione, perché avremo netta la percezione di stare davvero partecipando alla costruzione di quella famosa Cattedrale.
E tu? Stai Spaccando pietre o riesci già a vedere la Cattedrale?
Chiara Damilano
Per approfondire questo tema vedi anche:
I TRE SPACCAPIETRE
[1] Durante il Medioevo, un pellegrino aveva fatto voto di raggiungere un lontano santuario, come si usava a quei tempi.
Dopo alcuni giorni di cammino, si trovò a passare per una stradina che si inerpicava per il fianco desolato di una collina brulla e bruciata dal sole. Sul sentiero spalancavano la bocca grigia tante cave di pietra. Qua e là degli uomini, seduti per terra, scalpellavano grossi frammenti di roccia per ricavare degli squadrati blocchi di pietra da costruzione.
Il pellegrino si avvicinò al primo degli uomini. Lo guardò con compassione. Polvere e sudore lo rendevano irriconoscibile, negli occhi feriti dalla polvere di pietra si leggeva una fatica terribile. Il suo braccio sembrava una cosa unica con il pesante martello che continuava a sollevare ed abbattere ritmicamente.
“Che cosa fai?”, chiese il pellegrino.
“Non lo vedi?” rispose l’uomo, sgarbato, senza neanche sollevare il capo. “Mi sto ammazzando di fatica”.
Il pellegrino non disse nulla e riprese il cammino.
S’imbatté presto in un secondo spaccapietre. Era altrettanto stanco, ferito, impolverato.
“Che cosa fai?”, chiese anche a lui, il pellegrino.
“Non lo vedi? Lavoro da mattino a sera per mantenere mia moglie e i miei bambini”, rispose l’uomo.
In silenzio, il pellegrino riprese a camminare.
Giunse quasi in cima alla collina. Là c’era un terzo spaccapietre. Era mortalmente affaticato, come gli altri. Aveva anche lui una crosta di polvere e sudore sul volto, ma gli occhi feriti dalle schegge di pietra avevano una strana serenità.
“Che cosa fai?”, chiese il pellegrino.
“Non lo vedi?”, rispose l’uomo, sorridendo con fierezza. “Sto costruendo una cattedrale”.
E con il braccio indicò la valle dove si stava innalzando una grande costruzione, ricca di colonne, di archi e di ardite guglie di pietra grigia, puntate verso il cielo.