Nella mia vita ho lavorato attraverso quello che ho ritenuto un valore principale, la volontà. Ora, alla fine della mia vita, ho riflettuto tanto e sono arrivato alla conclusione che quello che più conta è l’amore: perciò imparate ad amarvi l’un l’altro e a dirvi in verità e fraternità tutto ciò che non va. Questa è l’indicazione che vi lascio”.

Queste furono tra le ultime parole di Sergio al gruppo, riunito a casa sua per uno degli ultimi incontri di Consiglio Direttivo a cui prese parte, pochi giorni prima di morire: parole che ci colpirono, perché non ce le saremmo aspettate da lui per come lo conoscevamo.

Perciò, ancor più perché inaspettate, si scolpirono dentro di noi come un’ “eredità” importante. Di certo erano frutto di una lunga e sofferta elaborazione della sua vita, consentitagli dal sapere che si stava avvicinando la fine e dall’aver scelto di prepararsi a quella fine in piena consapevolezza.

Dopo il passaggio di Sergio, vi fu un incremento di dedizione al progetto Comunità da parte di tutti coloro, tanti, che erano stati suoi collaboratori per molti anni. Sapevamo che, data la sua forza e capacità, il vuoto sarebbe stato grande ed eravamo fermamente intenzionati ad imparare a colmarlo: non potevamo certo aspettarci di farlo come singoli individui, ma lo avremmo fatto come gruppo, attraverso il mettere insieme il meglio che ciascuno poteva dare.

Il seme della visione luminosa che lui aveva impiantato dentro di noi e la gioia del conseguimento di obiettivi legati a un Bene più grande di quello personale, hanno continuato ad essere costantemente coltivati da tutti noi e hanno portato i loro buoni frutti. La Comunità ha proceduto salda, cercando di portare avanti i progetti e le attività già avviati e, dopo una prima fase di “ri-compattamento”, dando vita a nuovi progetti.

In tanti anni di collaborazione Sergio ci aveva trasmesso molto sull’arte della creazione: come individuare un obiettivo, come tenerlo vivo in, e anche nonostante, tutte le circostanze, come allontanare l’incertezza e il dubbio, come persistere fino alla sua realizzazione. Chi più, chi meno, avevamo afferrato abbastanza di quest’arte e si trattava ora di mettere in pratica quanto appreso, stavolta in modo autonomo e libero dalla sua supervisione.

Restava da coltivare quell’altro seme – quello dell’amore – che Sergio ci aveva consegnato come distillato della sua esperienza di vita e come invito ad assumerlo come nostro impegno. Su questo punto, sinceramente, avevamo le nostre difficoltà. Non che quest’energia non fosse presente, poiché nessun gruppo umano può restare unito senza l’amore: ma eravamo sensibili soprattutto all’amore per qualcosa che consideravamo più grande di noi, i valori, gli obiettivi elevati, il Piano evolutivo… Eravamo perciò più avvezzi, come gruppo, verso un “amore verticale”, usando parole forse improprie ma tanto per intenderci; molto meno portati a un “amore orizzontale”, fatto di comprensione, di empatia, di ascolto, di compassione, qualità che erano spesso presenti nei singoli, ma non così espresse come gruppo.

Questo è stato il compito lasciatoci da Sergio con quella sua ultima indicazione, e su questo ci siamo concentrati in questi dieci anni: affiancare all’amore verticale, tanto importante per realizzare qualunque opera, l’amore orizzontale, che non per questo è meno elevato ed elevante.

Oggi, quando guardo ai miei compagni vedo splendere in loro, in ognuno e in tutti, i semi di luce impressi da Sergio e che fanno moltiplicare le opere del gruppo: da chi svolge il suo compito con dedizione dentro lo spazio fisico della Comunità, a chi ne espande i confini lavorando in altri paesi, a Oriente e a Occidente. Sono semi contagiosi che evidentemente si accendono per contatto e scambio reciproco, dato che questo accade anche in coloro che non hanno mai conosciuto Sergio direttamente.

Ma sento anche l’amore che ci unisce, l’apprezzamento reciproco, la solidarietà, la gioia della condivisone e della compartecipazione: i frutti di quell’ultimo seme lasciatoci da Sergio e impregnato dell’amore generato in lui come trasformazione del dolore vissuto nei suoi ultimi anni.

Oggi, in questo decimo anniversario dal suo passaggio, possiamo dire di essere un gruppo che è cresciuto e sta crescendo; un gruppo che ci vede tutti insieme, che include sia chi sul piano fisico c’è stato e non c’è più, sia chi ancora c’è, e perfino chi ancora non c’è ma sta arrivando. Siamo un gruppo che vuole e che ama e che, soprattutto, vuole continuare ad imparare a fare entrambe le cose: vogliamo essere sempre più un gruppo capace di uscire dai propri confini per riversarsi, amando, entro gruppi e spazi più vasti.

Marina