Come tutte le esperienze profonde dell’animo umano, anche quella della coscienza di gruppo tende a passare inosservata, in un vissuto tanto più indiscernibile quanto più pervasivo.
Inutile quindi tentare di definirla, ma piuttosto accontentarsi di circoscriverla, di indicarla, di riconoscerla.

Coscienza di gruppo è quel comune sentire che ci fa riconoscere uomini, è la radice di una comune identità ancestrale, è lo sfondo implicito sul quale si declinano tutte le differenze esistenti tra gli uomini, differenze molto appariscenti ma anche effimere e superficiali.

La coscienza è una rete, o un tessuto, in cui ogni individuo rappresenta una maglia o un punto, più o meno esteso o articolato: esattamente come i neuroni del cervello, che acquistano il loro senso e la loro funzione solo in virtù delle sinapsi che li collegano.

Così come anche la vita stessa è una rete, un tessuto di dimensione oggigiorno planetaria: tutto è interconnesso e reciprocamente codipendente, in tutti i campi della civiltà umana; oltre che fra i vari regni di natura, ovviamente. Nessun uomo è un’isola. Nessun regno di natura è un’isola. Nessun essere vivente è un’isola.

E qui è inutile fare esempi, troppi ce ne sarebbero. Eccezion fatta forse per quello dell’energia elettrica, questa forma di vita/energia che oggigiorno sostiene capillarmente le attività dell’uomo, di ogni singolo uomo nella sua singola casa, pur essendo di natura assolutamente collettiva e non frazionabile. Si può forse personalizzare l’energia elettrica? E non è allora essa l’esempio perfetto di una vita/energia perfettamente condivisa, ma anche indivisa, e quindi comune?

Ma anche a prescindere dalla tecnologia, la semplice aria che l’uomo respira, e che sempre ha respirato dalla sua comparsa sul pianeta, non è forse un comune serbatoio di vita, necessariamente scambiata e condivisa e compartecipata da ogni uomo (e da ogni animale e pianta), indipendentemente dal suo censo? O razza? O valore?
Com’è che la cosa più vitale, preziosa e anzi indispensabile esistente, ovvero l’aria, non è privatizzabile, ma può essere solo condivisa? Com’è che non esiste aria individuale, ma solo aria di gruppo?

Per la coscienza è la stessa cosa, solo che la sua rete e il suo tessuto comune sono molto più nascosti di quelli della vita, e molto più complessi. Perché mentre la vita unifica, od omologa, la coscienza invece specifica, o diversifica, in due diverse e complementari forme di comunione.

La coscienza di gruppo è come la coscienza del cuore, che c’è, ma non si vede! Cuore che non fa nulla, nulla di visibile e tangibile… tranne che mantenere in vita l’organismo! Cioè che fa esistere.
Analogamente, sul piano psichico la coscienza di gruppo è coscienza dell’essere e non del fare: è coscienza della presenza e del valore di tutto ciò che come singoli individui ci appartiene, ci compone, ci costituisce, di tutte le nostre parti, luci e ombre che siano; è coscienza di questa comune coappartenenza, interna ed esterna.

Interna dentro di noi: coscienza di gruppo è sentirsi integri, in pace con se stessi, pienamente calati in se stessi, in totale appartenenza a se stessi. È un esserci tutti interi, un essere ciò che si è.
Il che naturalmente è uno straordinario punto d’arrivo.
Esterna nei rapporti con gli altri: nel riconoscimento di una intrinseca comune codipendenza che si nutre dell’autonomia di ciascuno, e si traduce in un magico potenziamento sinergico di imprevedibile estensione e sviluppo futuro.

Questa della coscienza di gruppo è quindi una realtà già in atto, da sempre, ma anche una realtà incompleta, e quindi ancora in crescita, un processo in fieri nel quale il singolo individuo e l’umanità intera mai come in questo periodo storico hanno la possibilità e forse il compito di confrontarsi e di crescere.
Ovvero una grande sfida, ma anche una grande opportunità da raccogliere.

di Vittorio Viglienghi