L’idea di esplorare il ciclo della vita e della morte come parte del Divenire è nata in un giorno uggioso, come un piccolo fiore che schiude solitario in un campo spoglio.
L’impulso primario è stato di voler seguire il divenire nella accezione del divenire della coscienza, della nostra autoconsapevolezza, con un focus specifico dato dall’accento del continuum fra la vita e la morte.
Ho trovato uno strumento per questa esplorazione nei pensieri profondi dei ricercatori del significato e del senso del vivere, che con la loro saggezza puntano lo sguardo alle stelle, alla volta celeste, e ci tengono per un po’ con il capo sollevato in quello spazio sospeso, fra la terra e il cielo.
Si è aperto il bisogno di individuare un primo autore che avesse usato questa parola: il divenire. Eraclito (VI-V sec a. C. ) fu definito il “ filosofo del divenire”. A lui è collegato il famoso motto: “pànta rèi “, tutto scorre… Nel suo pensiero incontriamo il motivo ricorrente dell’unità e dell’opposizione di tutte le cose. Questa è una similitudine (un avvicinamento) con Assagioli e la sua mirabile sintesi degli opposti.
Con Eraclito incontriamo la discorde armonia dei contrari: “…la realtà non è che la concordia di queste opposte tensioni”.
Dice Eraclito : “ sono vivente e morto, sveglio e dormiente, giovane e vecchio, il dio è giorno-notte, sazietà-fame, inverno – estate, guerra-pace…”
Ognuno di noi può riconoscere in sé queste alternanze quasi contemporanee, nella verifica consapevole del presente. E la continuità del nostro incedere sulla Via include anche la vita e la morte.
Scrive Pierre Teilhard de Chardin : “La morte è incaricata di praticare fin nel più intimo di noi stessi, l’apertura necessaria.”
Lascio alle libere considerazioni di ognuno la domanda: apertura verso cosa?
Aggiungo anche un contributo alla domanda di cui sopra, grazie alle parole di Etty Hillesum (autrice del diario-testimonianza “Il diario di Etty Hillesum”). Mi piace riportarle per includere il suo vissuto nelle nostre riflessioni. Etty scrisse nel suo diario, prima di trovare la morte ad Auschwitz:
… Con aver chiuso i conti con la vita voglio dire che la possibilità della morte si è perfettamente integrata nella mia vita; questa è come resa più ampia da quella, dall’affrontare ed accettare la fine come parte di sé. E dunque non si tratta, per così dire, di offrire un pezzetto di vita alla morte perché si teme o si rifiuta quest’ultima: la vita che ci rimarrebbe, allora, sarebbe ridotta a un ben misero frammento. Sembra quasi un paradosso: se si esclude la morte non si ha mai una vita completa; e se la si accetta nella propria vita, si amplia e si arricchisce quest’ultima.
Il Divenire è quanto mai presente in queste parole, dove la coscienza è aperta al transito e al diventare interiormente protesi verso un nuovo; la comprensione nuova che la morte trasmette alla vita e che unisce presente e futuro insieme.
Articolo a cura di Mariarosaria Ruocco