Mano a mano che i nostri rapporti rispecchiano le qualità della fratellanza, avviene una spontanea caduta di immagini reciproche ed autoimmagini, cioè di tutti quei mezzi usati per tenere insieme le forme della relazione fintanto che esso non poggi saldamente su una sostanza più vera e luminosa.
La Bellezza, riflesso del divino sulla terra, è sempre effetto di unione: unione con le Leggi superiori, unione tra i centri essenziali che animano tutte le cose, unione tra passato e futuro e così via. Da qualunque angolatura guardiamo, il superamento della separazione per l’unione produce Bellezza.
La questione sembra farsi più complicata per gli esseri umani e per le relazioni tra loro: quando è bene unirsi ad altri e quando invece è meglio prendere le distanze?
Ci viene incontro il concetto di Fratellanza, che sancisce l’unione certa e indissolubile tra tutti gli esseri. Ciò equivale a dire che esiste un punto nella profondità del nostro essere che, per sua natura, è unito a quello presente in tutti gli altri. Nessuno può obbiettare su questa verità, propugnata da tutte le fedi e da molte filosofie.
Ma una cosa è accettare quest’ idea, altra cosa è viverla: l’idea, ogni idea, si fa reale solo quando si incarna attraverso di noi, diventando esperienza. Perciò l’ideale della fratellanza tra gli esseri umani ha vero valore evolutivo solo nella misura in cui riusciamo a manifestarlo nella vita.
Una vita di gruppo è uno spazio in cui abbiamo la possibilità di sperimentare la fratellanza. E non perché questa sia un dato di fatto già implicito nell’essere gruppo, ma perché ci viene messo a disposizione un campo favorevole a portare avanti i nostri tentativi e a verificare di volta in volta la loro giustezza oppure a correggere il tiro.
In più, il gruppo offre un’opportunità di consapevolezza condivisa della rete di rapporti che lo anima, della loro nota e qualità, del loro fine e conquiste graduali: un tessuto fatto di tanti fili luminosi di vari colori, intrecciati tra loro a comporre quel tanto di esperienza di fratellanza che di fase in fase siamo capaci di contattare e di esprimere.
In realtà, la fratellanza è la base sottile, e il più delle volte non riconoscibile, di tutti i rapporti tra gli esseri umani, anche quando questi prendano forme specifiche, quali la coppia, la genitorialità, le amicizie, le collaborazioni. E’ l’unità inscindibile che ci lega ciò che ci spinge a cercare il collegamento con altri e lo facciamo attraverso varie modalità e anche secondo livelli diversi di maturità: ne deriva che di quel punto profondo di unione animica, nel mondo manifesto arrivano dei tentativi approssimati o addirittura distorti, in ogni caso superficiali e parziali. Nel passaggio dall’essenza alla forma subentrano le interferenze generate dal corpo emotivo e dai suoi condizionamenti passati, dai modelli comportamentali convenzionali e ripetitivi, dai limiti imposti dal grado di maturazione della coscienza.
Anche in un gruppo che tende consapevolmente alla realizzazione della fratellanza, bisogna fare i conti con tutti questi fattori, retaggio del nostro passato. Si viene così a creare una tensione tra l’aspirazione verso rapporti che siano manifestazione di livelli di coscienza superiori e questa “coda” che inevitabilmente ognuno si porta dietro; e che va accettata e pazientemente trasformata. Spesso, di fronte a momenti di difficoltà relazionale, sentiamo ripetere la fatidica frase “Qui, in un gruppo spirituale, non dovrebbe accadere questo”, scordando che gli opposti ci accompagnano sempre e che accanto agli ideali più elevati si presentano anche le nostre ombre; queste non tolgono comunque verità a quelli.
E’ il sentire del cuore che ci indica la linea di demarcazione tra i due diversi livelli dei nostri rapporti e che ci aiuta a tenere un punto di equilibrio dinamico tra di essi. E non solo: è di nuovo e sempre il cuore che ci suggerisce i criteri di riferimento per rinforzare costantemente la modalità di rapporto basata sulla fratellanza a discapito di quella che origina sulla crosta condizionata della nostra personalità.
Ne elenchiamo alcuni, con la certezza che sarà l’esperienza stessa che ce ne indicherà altri:
- il riconoscimento di un orientamento esistenziale comune, che determina la gamma degli interessi condivisi;
- la comunanza di valori che stabilisce il campo possibile di incontro;
- il far prevalere ciò che ci unisce sulle differenze che potrebbero separarci;
- l’utilizzare eventuali punti di divergenza riguardo ad aspetti più esteriori e formali per spostarsi interiormente su una più profonda motivazione al rapporto, in cui incontrare il punto di affinità;
- l’apertura all’altro da questo piano essenziale, regolando il rapporto esteriore nel modo più funzionale a ciò che è possibile, utile, economico e liberandosi dai clichè convenzionali.
Mano a mano che i nostri rapporti rispecchiano le qualità della fratellanza, avviene una spontanea caduta di immagini reciproche ed autoimmagini, cioè di tutti quei mezzi usati per tenere insieme le forme della relazione fintanto che esso non poggi saldamente su una sostanza più vera e luminosa. L’attaccamento all’immagine di sé e la difesa di essa, è uno degli ostacoli più grandi all’esperienza della fratellanza. Dall’altra parte, la condivisione sincera dei propri vissuti e delle proprie aspirazioni è lo strumento per eccellenza per imparare ad incontrarsi come fratelli: attraverso gradi di autenticità crescente, essa abbatte gradualmente le barriere fallaci frapposte dalle vecchie paure del vero incontro e consente all’energia dell’amore di riversarsi nel campo del gruppo.
Perciò non solo l’esperienza della fratellanza è bella e regala bellezza a chi la vive: lo è anche il processo, a volte lento e impegnativo, della sua costruzione consapevole, una vera opera creativa.
Marina Bernardi