La vicenda di Paolo e Francesca è molto lacunosa sotto il profilo storico. Poche sono le informazioni biografiche sui protagonisti che però sono sicuramente esistiti. Tantissime invece sono le versioni letterarie da Dante a D’Annunzio che hanno arricchito la narrazione con particolari di grande fascino, confondendo storia e leggenda. La versione che riportiamo si ispira al mito letterario che individua il Castello di Gradara come possibile scenario del tragico amore.
Francesca da Polenta era figlia di Guido Minore Signore di Ravenna e Cervia – “…siede la terra, dove nata fui, sulla marina dov’l Po discende..” – e li viveva tranquilla e serena la sua fanciullezza, sperando che il padre le trovasse uno sposo gradevole e gentile. Siamo nel 1275 e Guido da Polenta decise di dare la mano di sua figlia a Giovanni Malatesta (detto Gianciotto Joannes Zoctus-Giovanni Zoppo) che lo aveva aiutato a cacciare i Traversari, suoi nemici. Il capostipite, Malatesta da Verrucchio detto il Mastin Vecchio o il Centenario, concorda e il matrimonio è combinato. Fu detto a Guido “…voi avete male accompagnato questa vostra figliola, ella è bella e di grande anima, ella non sarà contenta di Giangiotto…Messer Guido insistette: – Se essa lo vede soltanto quando tutto è compiuto, non può far altro che accettare la situazione”. Per evitare il possibile rifiuto da parte della giovane Francesca i potenti signori di Rimini e Ravenna tramarono l’inganno. Mandarono a Ravenna Paolo il Bello “piacevole uomo e costumato molto”, fratello di Gianciotto che subentrò al suo posto. Francesca, dimessa, sottostà alla decisione paterna e sposa l’uomo che il padre ha scelto. Ma la simpatia e l’attrazione fra lei e Paolo è sempre forte e i due finiranno per diventare amanti, tradendo Giangiotto, che, scoperto il tradimento, li uccide entrambi. Fin qui la cronaca, ma Dante ci dice altro, va oltre, inserisce in questa storia un tipo di amore tratto dalla letteratura. Al tempo di Dante le riflessioni e gli effetti dell’amore sono numerosi ed approfonditi, e Dante conosce bene le idee e i temi di queste riflessioni che non si limitano alla letteratura ma coinvolgono anche dei trattati – per esempio1q il “De Amore”, che è un trattato in tre libri ad opera di Andrea Cappellano (1150-1220), che è considerato il manuale e la summa dei precetti dell’Amore Cortese, composto in latino attorno al 1185.
L’amore si manifesta in modo immediato ed inaspettato, a partire dal contatto visivo tra i due innamorati che, spinti dalla bellezza l’uno dell’altra, sono pervasi dalla passione amorosa. Inoltre, l’amore non è solo un sentimento, viene presentato attraverso una prosopopea ed è visto come un vero e proprio personaggio che agisce con la sua volontà sui cuori di chi ha deciso di far innamorare. Come si legge nel testo del Canto V dell’Inferno, infatti, Francesca non dice “l’amore” ma “Amore” (con la A maiuscola). “Amore ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer si forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona” sono questi i caratteri della passione che nasce tra i due personaggi della letteratura francese che hanno una storia molto simile a quella di Paolo e Francesca: Lancillotto e Ginevra. Probabilmente la storia di questi due innamorati è nota a chiunque. Lancillotto è il primo cavaliere di Re Artù ed è legato a lui da un vincolo di fedeltà feudale (come Paolo è legato a Giangiotto da un vincolo di fedeltà parentale) e si innamora di sua moglie, Ginevra (parallelo di Francesca). È proprio la lettura di questo romanzo che fa capire ai due cognati di non poter più nascondere il loro amore: un giorno, rimasti soli senza Giangiotto, Paolo e Francesca leggono la storia di Lancillotto e Ginevra e arrivano al punto in cui i due amanti, grazie all’intervento di Galeotto, siniscalco della (Ginevra) regina che li fa incontrare in segreto, finalmente si ritrovano e si baciano. Paolo e Francesca si rendono conto di essere esattamente come Lancillotto e Ginevra, e come i personaggi stanno facendo nel libro, si baciano dando libera espressione finalmente al loro profondo amore. Giangiotto li scopre in questo momento, infatti Francesca dice che quel giorno dopo quel bacio, non poterono più continuare a leggere: erano stati assassinati.
“Quando leggemmo il disiato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu’l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avanti”.
Sono stati uccisi insieme, perché volevano amarsi e stare insieme: neppure all’Inferno saranno mai divisi. I due amanti rappresentano l’amore e la sfida, rappresentano i due poli opposti dell’amor cortese che vede, ad un estremo, la tensione nobilitante e, dall’altro, la tensione distruttiva dell’amore. Come dice lo stesso Dante, se Dio lo concede, vorrebbe poter parlare con quelle due anime. All’altezza del V Canto, il viaggio è appena cominciato e non sappiamo ancora quali siano le regole esatte a cui il Poeta deve sottostare per attraversare i tre regni dell’Oltretomba. Può parlare con i dannati: un confronto diretto con le loro anime permetterà al Poeta di comprendere profondamente la natura dei peccati e delle pene e di procedere così verso il suo percorso di salvazione, un percorso individuale che diventa universale quando anche il lettore, attraverso questo eccezionale racconto, comprende appieno gli insegnamenti. Dante prova sentimenti di vario tipo verso i dannati, si mette nei loro panni, li biasima o prova empatia. Per Paolo e Francesca sopraggiunge una profonda pietà, sentimento raro all’Inferno dove, generalmente, dovrebbe essere una sensazione di condanna quella che si prova verso i dannati. Certo Dante non perdona i loro peccati, perché sa bene che Paolo e Francesca hanno commesso un atto che va contro i principi della morale, ma allo stesso tempo sente compassione. Pensiamo anche che Francesca, l’unica che parla con Dante, è poco più che un’adolescente. La figura di questa ragazza, giovanissima e bella, appena sposata e già madre (Concordia Malatesta), che si rivolge al Poeta con parole dolcissime in un luogo così cupo e disgraziato, crea una forte tensione.
C’è un contrasto drammatico fra la dolcezza di Francesca, il suo amore per Paolo, e le grida e le bestemmie dei dannati, il vento tempestoso che ulula in sottofondo e percuote e scaraventa sulle rocce le anime dei lussuriosi. Dante è commosso, capisce quanto amore e quanta sofferenza li ha uniti, quanto viscerale desiderio li tenga ancora stretti, in eterno, uno all’altra, ed è talmente scosso dai suoi sentimenti contrastanti e dalla visione del loro dolore, che sviene, ponendo fine al Canto V.
“Mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangea; si che di pietade io venni men così com’io morisse. E caddi come corpo morto cade.”
Con il primo cerchio dei peccatori in generale e in particolare con le parole di Francesca inizia il processo di conversione-redenzione del Poeta che rappresenterà uno dei temi teologici di tutta la Commedia. Il viaggio nel mondo ultraterreno offre una possibilità di redenzione dell’umanità. E la vicenda di Paolo e Francesca rappresenta la prima tentazione superata dal Poeta, con grande sforzo e straziante complicità emotiva che sconfina nella pietà. La storia dei due amanti mette in discussione Dante anche come poeta dell’amore, che nella sua concezione stilnovistica ha messo al centro la sua visione della realtà. Il Poeta, non a caso, dopo la prima confessione della giovane, resta in silenzio: sembra stia pensando a come sia possibile che l’attrazione innocente, l’amor cortese, si trasformi in peccato degno dell’Inferno, che appare provocato dalla lettura di un libro dove si celebra un amore con le regole cortesi alle quali lo stesso Dante aveva aderito in gioventù. Quindi lo stesso sentimento che gli aveva ispirato i versi della Vita Nova, adesso emerge come una delle possibili cause di condanna eterna. Se torniamo alla vicenda storica dei fatti secondo la vera documentazione, sono pochi i dati veramente riscontrabili: i dati anagrafici dei protagonisti e la loro discendenza. Pare infatti che la coalizione tra le due famiglie fosse talmente vantaggiosa per entrambe, grazie alle strategie politico-dinastiche complementari, che il fatto di sangue diventò un fatto da mettere a tacere il più presto possibile. Secondo alcuni studiosi, inoltre, l’assassinio (1284 c.a) della moglie Francesca da parte di Giangiotto avrebbe potuto avere uno scopo politico che il cosiddetto “delitto d’onore” sarebbe stato in grado di camuffare: Giangiotto, cioè, desideroso di procurarsi l’alleanza della città di Faenza, intendeva a tale scopo sbarazzarsi della moglie (che già a suo tempo aveva sposato non per amore ma per venia politica) per convolare a nuove e più opportune nozze. Fatto sta che egli pochissimo tempo dopo il delitto sposò in effetti la faentina Zambrasina de Zambrasi dalla quale poi ebbe sei figli. Concludiamo ribadendo che questo V Canto può essere definito anche il Canto “dell’amore e della pietà”. Il sopravvivere dell’amore in Paolo e Francesca oltre la morte e la dannazione viene visto come segno della potenza del loro sentimento a dimostrazione di quanto fosse difficile resistervi: la nostra sensibilità moderna in realtà ci impedisce di formulare una qualsiasi condanna.
A questi due amanti la nostra carezza.
di Pasquale Morla, Psicologo Psicoterapeuta – Guarda i corsi di Psicosintesi