Parto da un’osservazione molto concreta, che negli anni si è ripetuta e che per me è diventata una verità inconfutabile: ho sempre notato, oltre ad averlo sperimentato direttamente su me stessa, come e quanto l’assunzione di un compito di servizio, anche piccolo, produca un cambiamento rapido nella persona in termini di “pregnanza” e integrazione personale. Questa constatazione mi ha portato a cercare di comprendere il “mistero del servizio”, e soprattutto del servizio in gruppo.
Servizio e gruppo sono due termini intrinsecamente inseparabili.
Ciò che li rende tali è l’idea seme che entrambi racchiudono, quella di un senso del Bene che si espande al di là del piccolo io separato e che raggiunge altri intorno a noi, fino a includere l’intero gruppo umano. L’intento di servire già di per sé apre la porta al senso del gruppo, anche se ne fossimo del tutto inconsapevoli e addirittura qualora la nostra azione fosse solitaria e non visibile. Perciò il gruppo è sempre presente in ogni tipo di servizio, anche solo come stato interiore motivante, oltre che nel caso di lavoro di gruppo evidente anche all’esterno.
Ci soffermiamo ora su quel tipo particolare di esperienza che è il servire insieme ad altri nella collaborazione per un progetto comune. Un gruppo rappresenta un piccolo laboratorio in cui imparare a lavorare in modo convergente per un obbiettivo condiviso; va visto dunque come uno spazio di sperimentazione, in cui i valori che auspichiamo per la nostra società – il senso di interconnessione e di interdipendenza, la sensibilità al bene comune, il rispetto per le risorse di tutti, la compartecipazione attiva, solo per citarne alcuni – possono essere praticati in modo consapevole.
Nel lavoro di gruppo, tutte quelle aspirazioni che rischierebbero di restare dei begli ideali non verificati, e perciò sterili, sono portate fino nella forma ed espresse infine nelle opere.
Ma il fine del lavoro di gruppo non è solo quello della realizzazione di certi obbiettivi come conseguimenti esteriori, tutt’altro. Potremmo anzi dire che gli obbiettivi concreti non sono che uno stimolo e un mezzo per arrivare a costruire qualcosa che ha un ben maggiore significato evolutivo: la nascita e l’integrazione del gruppo stesso quale insieme di persone unite da un rapporto di amore e coordinate verso un fine comune. In pratica un gruppo di servizio è un pezzetto, un frattale, di nuova società.
Ma come arrivare a ciò?
Un primo passaggio, importantissimo, è la creazione del “campo”, concetto tanto caro alla fisica quantistica e altrettanto fondamentale quando si parla di gruppo. Il campo si sviluppa grazie all’amore reciproco e questo, a sua volta, è effetto dell’attrazione comune verso un proposito condiviso: nel senso che tutti coloro che si trovano a collaborare in un progetto di gruppo, sono stati attratti, anche inconsapevolmente, da una stessa nota, quale suono sottile percepito nell’anima. La risonanza verso quella nota, che è tipica e peculiare proprio di quel gruppo, è il primo fattore di aggregazione del gruppo.
Ci si incontra poi – e spesso ci si scontra – con la diversità tra le personalità e tra i caratteri, che può diventare disgregante e distruttiva, qualora non si faccia continuamente riferimento e affidamento su quella “chiamata” interiore condivisa che ci ricorda il senso profondo del nostro essere insieme.
Nella misura in cui persone diverse, e talvolta incompatibili, riescono a guardare nella stessa direzione e a tenere nel cuore gli stessi obbiettivi, la diversità interpersonale può diventare strumento e ricchezza, attivando addirittura un dinamismo molto produttivo per l’integrazione del gruppo.
Ecco, così si costruisce il campo: dando spazio e attenzione al proposito e agli obbiettivi comuni, e coltivando volontariamente amore e apprezzamento reciproco. Volontariamente: perché è un amore che non proviene automaticamente da particolare sintonia e simpatia interpersonali, ma dall’impegno cosciente e condiviso verso l’esperimento del creare un gruppo. Questo è l’atto creativo più importante, ancora più importante delle opere esteriori.
Ognuno e tutti sono responsabili del “campo di gruppo”, come di una creatura che va pazientemente e costantemente nutrita con il pensiero, con le parole e con le azioni. Saranno proprio l’intensità e la qualità di questo campo che sosterranno la realizzazione delle opere, consentendo così alla “volontà di gruppo” di manifestarsi senza impedimenti.
Esattamente come ogni coscienza individuale, anche la coscienza del gruppo passa per stadi di sviluppo, dall’integrazione della sua personalità attraverso i suoi corpi fisico, emotivo e mentale, all’espressione della sua personalità integrata attraverso la volontà applicata, fino alla realizzazione della sua anima e del suo compito sottile. Questo terzo passaggio vede il gruppo come risultato dell’avvicinamento e della fusione delle anime, che, insieme, servono un’Idea o un Piano pre-esistenti e di valore molto più ampio e più elevato perfino dell’intento di realizzare una volontà di gruppo. Si ha allora la “creatività di gruppo”, che si attiva attraverso il canale dell’ispirazione.
L’ispirazione è il “calare” di elementi che fanno parte della sfera transpersonale nel centro di consapevolezza del gruppo: cioè, l’inconscio superiore si fa vitale e presente, riversando scintille di luce e di nuove comprensioni su quella personalità collettiva che si è preparata per riceverle.
Come avviene, in concreto, il processo di ispirazione? Essa può arrivare per vie diverse: a volte attrverso una persona, a volte attraverso dei “pezzetti” di luce distribuiti tra più persone, che vanno poi composti in una sintesi inclusiva. Ma in ogni caso sono sempre le domande che il gruppo si pone ad attivare l’afflusso di ispirazione: la domanda funziona come un’invocazione verso la sfera supercosciente, la quale risponde sempre in modo puntuale, se la domanda è stata chiara e pertinente.
La formulazione stessa della domanda richiede dunque attenzione, e non solo. Richiede anche consapevolezza di ciò che si vuole comprendere, richiede che il tema sia stato messo sufficientemente a fuoco e questo, a sua volta, può essere fatto grazie all’interesse rivolto a quel tema.
L’interesse per la vita e per le vicende del gruppo sono il fattore attivante del flusso di comunicazione, che porta a venire a conoscenza di ciò che sta accadendo, dei processi in corso, del punto in cui il gruppo è nei vari aspetti e campi della sua esistenza. Di nuovo, è la domanda, basata su un interesse autentico, che attrae le risposte desiderate: laddove l’ispirazione è la risposta ad una domanda posta “in verticale”, la comunicazione e l’informazione sono una risposta alle domande poste “in orizzontale” come effetto della propria partecipazione attiva.
Il tema del servizio di gruppo è vastissimo e queste poche righe non bastano certo a toccarne più di qualche aspetto. Ma c’è un altro punto che mi sembra importante introdurre: quello delle difficoltà in cui possiamo imbatterci quando iniziamo a servire in gruppo. Queste sono inevitabili, direi perfino obbligatorie! Sono l’effetto dello sforzo di passare da una coscienza individuale ai primi barlumi di una coscienza di gruppo. Perciò entrano in confronto, e spesso in attrito, forze psichiche, autoimmagini e posizioni che abbiamo stratificato per lungo tempo nella nostra personalità, con gli aspetti del tutto nuovi e ancora inesplorati che fanno parte dello stato di coscienza che è chiamato “coscienza di gruppo”: come potrebbe essere facile questo passaggio evolutivo tanto importante? E’ come addentrarsi in un nuovo territorio, portando ancora con noi i condizionamenti del tratto di percorso precedente. Se siamo consapevoli e accettiamo che, entrando in un gruppo di servizio, scegliamo di avviare una fase di vita del tutto diversa e imprevedibile, sapremo assumerci la responsabilità delle nostre difficoltà e saremo aiutati a superarle rapidamente.
Detto tutto questo, sentiamo risuonare in noi una scintilla di attrazione verso il servire in gruppo? E chi ha già risposto da tempo a questa scintilla iniziale, si sente pronto ad accendere ancora di più il fuoco del servizio nel proprio cuore? Io sì, è un fuoco che non smetterò mai di nutrire perché porta bellezza, gioia e compimento in tutta la vita.
di Marina Bernardi, Comunità di Etica Vivente