Possiamo pensare pensieri altrui, ma nessuno potrà mai sentire una sensazione che non sia la sua e solo la sua!
Il tema del rapporto corpo-mente-psiche è un argomento vasto e complesso. Qui lo prenderemo in considerazione solo in parte, parlando di una specifica categoria di sensazioni: il piacere.
Almeno apparentemente i “tempi moderni” ci hanno regalato la riabilitazione del piacere a funzione legittima e vitale per l’equilibrio psico-fisco dell’individuo. Ma anche se non è più considerato deprecabile, il piacere è qualcosa di cui non sappiamo parlare. Crea imbarazzo, troppo connesso com’è al mondo intimo e personale delle sensazioni, spazio che non siamo molto abituati a frequentare consapevolmente.
La nostra formazione ci porta a considerare come prioritari altri aspetti della vita: la realizzazione professionale, il successo, la sicurezza economica, l’efficienza, l’autoaffermazione…
Ci “raccontiamo” per questo un sacco di cose sulle nostre preferenze e il nostro piacere. Diamo diverso valore a oggetti, persone e situazioni sulla base di un vissuto mentale del piacere stesso. E molto spesso lasciamo che le nostre razionalizzazioni abbiano un peso sulle scelte che facciamo.
Ma il piacere ha nella stragrande maggioranza dei casi un vissuto prevalentemente corporeo, molto poco mentale, e – come sappiamo – “il corpo non mente”!
Allora, come far riemergere dall’ombra del rimosso e dell’inconsapevole il vissuto delle nostre sensazioni fisiche? Come ricondurre a unità e coerenza la nostre diverse parti?
“Chi si occupa di autoformazione, e di crescita interiore, la propria e l’altrui, sa quanto sia difficile e niente affatto scontato riportare una persona alla percezione dei propri vissuti, a ciò che essa sente, a prescindere da ciò che pensa di sentire, o di vivere. Vale a dire a liberarsi dai condizionamenti pluridecennali a cui è stata sottoposta nella sua vita, dalla famiglia, dalla scuola, dalla società, processo nel corso del quale ha introiettato una miriade di modelli esterni (mentali), più o meno vincenti, che l’hanno resa più o meno funzionale alla società in cui era inserita, ma che l’hanno in effetti alienata da se stessa.
Ora, in quella meravigliosa ma impegnativa opera di recupero della propria individualità, dell’“io chi sono?” e “che cosa voglio?”, in cui si ha il coraggio di lasciare il falso noto per il vero ignoto, nella ricerca del “trova te stesso”, la via del piacere si rivela essere una risorsa formidabile, una vera e propria via maestra alla scoperta o riscoperta di sé.” Poiché, possiamo pensare pensieri altrui, ma nessuno potrà mai sentire una sensazione che non sia la sua e… solo la sua!
E’ una via che però presuppone un ribaltamento rispetto alla prospettiva edonistica: l’obiettivo infatti non è tanto dare valore al piacere (o allo stimolo sensoriale in genere), quanto attenzione a chi lo avverte: “Non conta più tanto la sensazione di piacere o di dolore come tale, la gratificazione o frustrazione in sé che lo stimolo procura, ma conta piuttosto il fatto che il processo stesso del sentire mi riporti a me come soggetto senziente. Sento, e quindi sono. Mi sento, e quindi ci sono.”
Lavorando su noi stessi arriverà il giorno in cui avremo imparato a gustare e provare piacere consapevolmente, allora ci si parerà davanti questa ineluttabile verità: “per gustare e provare piacere bisogna innanzitutto sentire, e per sentire bisogna stare in silenzio, ovvero fermarsi ad accogliere quello che c’è”, dentro e fuori di noi.
Le citazioni sono tratte da: “L’etica del piacere come via di realizzazione” di V. Viglienghi (segui i link per approfondire).
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Per approfondire
cosa puoi leggere:
L’etica del piacere come via di realizzazione (di Vittorio Viglienghi)
cosa puoi fare:
Percorso formativo
Consapevolezza
e sviluppo corporeo