(…) la vera volontà non può prescindere dall’essere buona.
Il lavoro della Comunità, in quel periodo, era focalizzato sul tema della Buona Volontà e quel pomeriggio Maria aveva pregato Hermes di chiarirle quel concetto.
Erano in biblioteca e Maria affrontò l’argomento dicendo: “Si parla spesso di volontà buona, di volontà di bene e di buona volontà ed è inevitabile che si crei una certa confusione sul significato e sul valore di tali termini. Vorrei perciò che tu mi dicessi come collegarli tra loro.”
Hermes, particolarmente sensibile a questi argomenti, rispose con piacere: “Non è difficile comprendere la differenza tra queste espressioni se si e, disposti a cercare il senso profondo della volontà. La volontà è un’esperienza individuale, coincidente con quella del’io” che ci trasporta al centro della nostra coscienza e ci pone subito di fronte ai problemi della nostra personalità, indicandoci i desideri e gli obbiettivi della nostra vita. Appare allora chiaro che il primo compito da affrontare è quello di superare l’egocentrismo, fisiologico in una fase della nostra crescita, che ci spinge a realizzare i nostri interessi senza alcuno scrupolo di interferire con quelli altrui: difendere il proprio tornaconto è senz’altro legittimo finché questo però non lede quello degli altri. Questo confine è piuttosto sottile e non è facile scorgerlo a prima vista, specialmente se l’investimento emotivo sul fine da raggiungere è elevato. Questo è proprio il momento in cui è indispensabile lavorare su quel requisito della volontà che è la bontà: questo è il primo concetto da assimilare, che la vera volontà non può prescindere dall’essere buona”.
A questo punto Maria lo interruppe: “Se questo aspetto della volontà manca, che succede?”
“Si tratta di una volontà difettuale, impura, potremmo dire patologica, che corre il rischio di produrre danni intorno a sè ogni qualvolta entra in funzione; prima di essere utilizzata deve essere pertanto corretta e riequilibrata in questo suo aspetto fondamentale, altrimenti sarebbe come un tavolo a tre piedi che ne ha due soli sani e, cadendo in continuazione, danneggia e non svolge la sua funzione. L’esperienza della volontà buona va pertanto cercata e realizzata attraverso un allenamento che richiede lo sviluppo di una buona capacità autocritica, l’unica che ci consente di superare i trabocchetti delle razionalizzazioni e delle proiezioni. Questa qualità, la bontà, è quindi un punto d’arrivo e non di partenza e non va data per scontata: necessita al contrario di un buon rapporto con l’inconscio che ci permetta di smascherare tensioni egoistiche e reattive, che ci ostacolano nell’espressione di una volontà integrale. La volontà diventa buona quando si fa strada dentro di noi l’idea di appartenere ad un unico organismo, l’Umanità, verso cui siamo chiamati ad assumerci la nostra parte di responsabilità: allora scompare quel senso di separatività che ci allontana dai problemi del mondo e, amplificando i nostri, ci crea l’illusione di essere diversi e, quindi, in diritto di affermare noi stessi anche a scapito degli altri. La mancanza di bontà è legata ad ostacoli molto radicati nell’animo umano, derivanti dal cattivo uso degli istinti fondamentali dell’autoconservazione e dell’autoaffermazione, che si rappresentano nel bisogno primario di difendersi e di accrescere i propri privilegi a tutti i livelli e a tutti i costi, rendendoci critici, intolleranti e ostili nei rapporti interpersonali. Al contrario la tolleranza reciproca e il senso di fratellanza ci permettono di realizzare il principio di innocuità che è la nota fondamentale di una volontà buona, e perciò «sana», e qualità distintiva del vero aspirante spirituale,”
Nel frattempo era entrato in biblioteca anche Guglielmo che intervenne nel discorso: Quest’argomento mi interessa e mi sollecita subito una domanda: come mai l’uomo deve lavorare su se stesso per sviluppare la bontà e, quindi, correggere quello che sembra quasi un difetto di natura?”
Hermes lo corresse: “Parlerei piuttosto di un difetto di gestione che ha coinvolto l’umanità fin dal suo apparire sul Pianeta, quando la natura animale era preminente rispetto a quella spirituale, e ancora oggi molti uomini vanno contro le leggi della vita usando la funzione volitiva in modo non consono alla direzione evolutiva. Questo rappresenta un handicap che ciascuno di noi corregge quando intuisce l’orientamento del processo creativo planetario.
Guglielmo riprese: “Dalle tue parole sembra inevitabile che ciascuno debba diventare buono e questo mi smarrisce ancor di più pensando a quanta cattiveria c’è nel mondo e come si diffonda a macchia d’olio…”
Hermes: “Questo è vero, ma dobbiamo vedere il male più come effetto di ignoranza che di vera e propria cattiveria dell’animo umano: più la consapevolezza si fa strada, più l’uomo vede lontano e scorge li suo futuro cui è destinato. D’altra parte proprio da queste riflessioni nasce la necessità d’impegnarci a costruire il Bene, arte da imparare al pii’ presto, vista l’emergenza attuale.”
Marta che da poco si era unita al gruppo, chiese: “Come si fa a stabilire quello che è veramente il bene, dal momento che ciascuno di noi ha un’idea molto soggettiva di questo termine?”
Hermes: “La domanda di Marta è molto opportuna perché su questo tema c’è molta confusione e un forte coinvolgimento emotivo, che ci rende non obbiettivi e poco pragmatici rispetto alle nostre aspirazioni. Il concetto di bene non può essere affrontato correttamente finché la coscienza è sostanzialmente egocentrata, nonostante la “professione d’altruismo”: a questo livello l’unico bene possibile è quello d’imparare a rispettare gli altri senza costringerli a subire la nostra volontà “a fin di bene”. È quando la coscienza personale si espande identificandosi nel gruppo umano, che il problema del bene può e deve essere affrontato: è, infatti, solo ora che la volontà individuale, resa finalmente buona cioè rispettosa di quella altrui, è in grado di cominciare a discernere tra il bene e il male, tra ciò che è evolutivo e ciò che è involutivo. La discriminazione è, quindi, la qualità transpersonale che ci permette di trasformare la volontà buona in volontà di bene, di porla cioè al servizio dell’Umanità e del Pianeta.”
Marta riprese: “Quindi la volontà di bene richiede la capacità di riconoscere ciò che è bene non solo per noi, ma piuttosto per gli altri?”
Hermes: “Usare la volontà di bene significa mettere a disposizione la volontà personale buona per il Bene comune e aver dunque sviluppato un atteggiamento impersonale nelle scelte che tenda a produrre il maggior bene per il maggior numero di uomini. E’ un desiderio dinamico di giuste relazioni umane in un clima di pace e di rinnovamento; è un preciso impegno e un costante sforzo spirituale per realizzare i grandi obbiettivi umanitari e planetari a cui tutti aspiriamo. E’ una forza potente che produce risultati diversi secondo le caratteristiche tipologiche degli individui che la mettono in atto.”
Frattanto anche Camillo, insieme a Cesare, Giulietta e Leonardo, si erano seduti in biblioteca ricostituendo il gruppo completo degli amici della Comunità e fu proprio Camillo che, avendo sentito l’ultima frase di Hermes, gli domandò: “Non vuoi dirci qualcosa di più su questo effetto differenziato della volontà di bene in relazione ai vari tipi umani?”
“Si, – rispose Hermes – facciamo qualche considerazione insieme.
Sul tipo volontà, per esempio, quest’energia ha un effetto particolare che gli permette di trasmutarne le caratteristiche note distruttive nella capacità di ricostruire e, quindi, di dare direzione positiva alle proprie azioni nel mondo, aiutandolo a sviluppare quella dote di saggezza che inizialmente in lui è carente.
Nel tipo amore, anche se questo può sembrare paradossale, porta in manifestazione la volontà d’amare, caratteristica spesso assente in questa tipologia, stimolandolo a cooperare con gli altri in modo attivo e altruistico, investendo finalmente se stesso in compiti impersonali.
Il tipo attivo-pratico riceve da quest’energia un potente impulso all’azione sul piano concreto facendolo uscire da un mentalismo fine a se stesso per renderlo utile al rinnovamento dei modelli del mondo.
Nel tipo creativo-artistico si manifesta come impulso preciso a migliorare le relazioni umane, dentro e fuori di sé, per renderle più giuste e armoniche, in linea con le indicazioni della Nuova Era.
L’esigenza di conoscere del tipo scientifico ne è potenziata e viene attivato un impulso a pensare in modo più sintetico e creativo, per favorire i l progresso umano.
Nel tipo devozionale-idealistico ne accentua la volontà di persistere, che, se da una parte ha le sue radici nell’istinto di conservazione, dall’altra parte rappresenta la roccaforte degli ideali superiori dell’umanità.
Il tipo organizzativo, infine, riceve l’ispirazione giusta per la sua opera creativa, diventando più sensibile al Proposito evolutivo che sta affluendo sul Pianeta.
Possiamo dunque affermare che la volontà di bene è quella forza che spinge gli individui più maturi, e perciò più pronti ad accoglierla, a collaborare consapevolmente, potremmo dire volontariamente, e intelligentemente, alla costruzione del futuro dell’uomo, con intenti e modalità diverse a seconda delle caratteristiche dominanti di ciascuno. È quell’energia che viene utilizzata in tutte quelle attività che favoriscono il progresso dell’uomo, nella lotta contro i mali del mondo, che vanno dalla fame al razzismo, dalla corruzione alla violenza, dalla droga alle guerre. È un’energia potente come la luce che combatte e dissolve le forze delle tenebre ovunque si annidino. È necessario evocarla e renderla viva e attiva dentro di noi, fare in modo che diventi un’esperienza quotidiana che ci guidi dal centro della nostra coscienza, dove risiede la nostra natura divina.
Cesare, fino ad allora silenzioso, disse: “É veramente entusiasmante pensare che esista questo potere nell’uomo e che possa essere messo a disposizione del suo futuro!”
Hermes: “Credo proprio che la volontà di bene è la forza che salverà l’umanità perché è un potente viatico per ciascuno di noi, in quanto ci porta a scoprire il disegno evolutivo e a parteciparvi consapevolmente e attivamente, É una forza da custodire nel segreto del cuore e da non disperdere con atteggiamenti vanagloriosi e nella retorica verbale: si tratta in effetti di una qualità transpersonale motivata dall’amore ed espressa dalla volontà. Rifletterci, desiderarla e invocarla, specialmente in gruppo, è l’impegno fondamentale che oggi ci viene richiesto e, per adempierlo, è necessario porsi obbiettivi altruistici ben definiti e aver pianificato i tempi e i modi per raggiungerli.”
Maria intervenne: “Questa volontà di bene in che rapporto sta con la volontà personale?”
Hermes: “Può essere definita la spinta invisibile del “Proposito di Dio” sull’uomo e, quindi, rappresenta l’aspetto transpersonale, prima recessivo e poi manifesto, della volontà integrale. È come dire che prima o poi, usando in maniera corretta questa funzione, ciascuno di noi evocherà dentro di sé la gioia di contribuire al bene di tutte le forme di vita, in particolare di quella umana: sarà scoprire il compito di dedicarsi a migliorare la qualità di ciò che esiste, per un fine superiore, spinti da un insopprimibile anelito divino”.
Maria continuò: “Vuoi chiarirci meglio, per favore, anche il concetto di buona volontà, che da millenni è legato al destino degli uomini?”
Hermes, pensieroso: “Quando parliamo di volontà di bene e di buona volontà ci riferiamo ad aspetti di un principio divino non facili da comprendere per la mente umana. La buona volontà, come Principio, coincide con l’essenza di Dio, e viene colta, attraverso l’ispirazione, come volontà di bene ed espressa a livelli e con modalità diversi secondo la maturità della coscienza: è, pertanto, una forza innata, celata nel supercosciente dell’umanità, che agisce occultamente sulle grandi masse umane, inconsapevoli di questo potenziale che le anima nel profondo. Divenirne coscienti significa acquisire una maggior sensibilità al suo influsso e, quindi, poterla utilizzare sul piano della manifestazione. Per far questo è necessario diventare per un certo verso trasparenti a se stessi, cioè aver superato le nebbie della natura emotiva ed essere in grado di camminare stabilmente sul sentiero delle aspirazioni. In tal modo la nostra sensibilità diventa più responsiva all’energia transpersonale che veicola quella della buona volontà: questa forza luminosa si sprigiona dal centro del cuore e, in quanto volontà d’amore, ci spinge a creare giusti rapporti umani, orientando in tal senso la nostra vita personale.”
Guglielmo, un po’ perplesso, domandò: – “Vuoi definire meglio il rapporto tra volontà di bene e buona volontà?”
Hermes: “Capisco che su quest’argomento non è facile essere chiari… ma in qualche modo possiamo dire che la volontà di bene è l’aspetto dinamico e la buona volontà è l’aspetto statico intrinseco della volontà divina; dalla loro relazione nasce la volontà integrale, sintetica, dell’uomo della Nuova Era. In altre parole, la prima è l’aspetto Padre o Proposito, e la seconda è l’aspetto Madre o Amore delle grandi religioni, in cui la mente illuminata dall’uomo è l’aspetto Figlio. Da qui l’importanza di assumere su di noi la responsabilità di esprimere sempre più la volontà di bene e di trasmettere, nello stesso tempo, il messaggio della buona volontà, in maniera adeguata perché l’umanità riesca a superare la visione prettamente materialistica dell’esistenza e apra la coscienza ai potenti influssi psicospirituali-planetari.”
Hermes tacque un attimo e poi disse: “Cari amici, vorrei che chiudessimo quest’incontro con una breve meditazione in gruppo, riflettendo su quali sono le mete che la buona volontà si prefigge di realizzare sul Pianeta e vedendone, attraverso l’immaginazione creativa, tutti i vantaggi. In quest’esercizio ciascuno di noi può scoprire quello che riesce a comprendere del cosiddetto regno dell’anima e può intuire quale può essere il proprio contributo alla sua costruzione.”
In: “Poggio del Fuoco” – Quaderno della Comunità di Psicosintesi di Città della Pieve
N. 13 – “La buona volontà” (maggio 1994)